21 aprile 2015

Sceneggiatura: Storia di Karim di Alice Borsani

Immagine passaporto/carta
d'identità.
● Bambini che giocano
● Padre e figlio nel campo
● Abbraccio prima della partenza.
.
Mi chiamo Karim e sono nato 17 anni fa in Somalia. Sono in Italia ormai da un anno, ma nonostante abbia cercato di integrarmi non sono mai riuscito a conquistare la fiducia e il rispetto delle persone. Ho avuto un'infanzia difficile nel mio Paese d'origine; sono il primo di sette fratelli e su di me ricadevano le responsabilità della famiglia. Mentre gli altri bambini del villaggio giocavano a pallone per le strade, mio padre mi portava nei campi per insegnarmi il mestiere dell'agricoltore. I miei genitori, una sera d'estate, decisero di consegnarmi tutti i loro risparmi, le rinunce di una vita, i sacrifici sofferti e di lasciarmi partire. -Spiccherai il volo- mi dissero -e ti costruirai una vita migliore in un Paese dove non ti sentirai schiavo di nessuno.-

● Carta geografica dell'Africa con percorso segnato.
● Cantiere edile.
● Ragazzo che dorme nel sottopassaggio della stazione.
Attraversai interi Paesi e conobbi le storie di donne e uomini che fuggivano da guerre, oppressioni e schiavitù, con la speranza dipinta sui volti. Una notte arrivai a Tunisi e qui mi imbarcai salutando la mia Africa, che divenne una striscia luminosa in lontananza, un cielo stellato posatosi sul mare. Sbarcai in Italia, in una piccola città di provincia, e certo non trovai ciò che avevo immaginato.
Vivo in una stazione e lavoro come muratore in nero senza nessuna tutela per gli infortuni. Di notte, sui gradini della scala sotterranea, ripenso ai miei genitori e alle loro speranze. Gli incubi mi tormentano, persone morte in mare, uccise dalla promessa di una vita migliore.
● Lui cammina per il binario e la
gente lo guarda con disprezzo.
● Lui cammina per la strada e la
gente lo evita. Una mamma stringe
a sé il bambino.
● Lettera ai genitori.
Cammino per il binario; gli sguardi della gente mi pervadono freddi come il ghiaccio e disprezzanti. Mi giudicano senza conoscermi pensando che la mia diversità costituisca un pericolo. Vado al lavoro indossando gli stessi vestiti di quando sono partito e per le strade la gente mi schiva.
A volte, io e la mia famiglia ci scriviamo delle lettere; dico loro che qui è tutto fantastico, un mondo nuovo, diverso. Loro sono contenti e felici e questo è ciò che importa. In Somalia, nonostante la povertà, ero sereno perché avevo qualcuno su cui contare. Ora invece sono solo e infelice. Penso che prima di giudicare l'altro sia necessario imparare a giudicare se stessi. Fin quando non si affronteranno le proprie debolezze non si riuscirà mai ad essere in pace con gli altri. La pace comincia da ognuno di noi.

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