Il tragitto dalla stazione al Museo del Cinema in Via Montebello.
I luoghi che incontreremo e visiteremo
Piazza Carlo Emanuele II
Se tu chiedi a qualcuno dov’è piazza Carlo Emanuele II, molto probabilmente sarai guardato con aria stranita: è scientificamente provato che i torinesi non conoscono il vero nome di quel grande spiazzo rotondo noto a tutti come piazza Carlina, dal nomignolo che il popolo affibbiò all’esponente del casato Savoia per i suoi modi effeminati.
Eppure sotto il regno di Carlo Emanuele
(1635-1675) la città si arricchì di grandi opere architettoniche.
La piazza, ad esempio, fu realizzata sotto la reggenza di Maria
Giovanna Battista di Savoia-Nemours sul progetto redatto nel 1674 da
Amedeo di Castellamonte in seguito all’idea di Carlo Emanuele II il
quale, in adesione al modello di "place royale", volle, in
segno di celebrazione del proprio potere sovrano, uno spazio ampio,
con facciate uniformi e al centro una fontana con una statua equestre
che lo raffigurasse.
Inizialmente era prevista un grande
slargo “ottangolare” a cui si sarebbero dovuti affacciare
altrettanti isolati per palazzi nobili: il progetto si arenò perchè
la vendita dei lotti trapezoidali si rivelò impresa improba. Così
si optò per un’area quadrangolare destinata, in base ad un editto
del 1678, a sede del mercato del vino. Anche l'ubicazione venne più
volte modificata: la piazza fu posta più a sud-est rispetto al piano
iniziale che la collocava in prossimità di via Po.
Sul suo lato a sud sorge la chiesa di
Santa Croce, edificata su disegno di Juvarra con campanile
orientaleggiante e facciata tardo-ottocentesca, mentre al centro
troneggia il monumento a Camillo Benso conte di Cavour (opera di
Giovanni Duprè del 1872) che ha in mano un cartiglio con incisa la
celebre frase “Libera chiesa in libero stato”. Da ricordare pure
il palazzo Roero di Guarente (la cui facciata è sempre dello
Juvarra), l’ex Collegio delle Province, ora Caserma dei
Carabinieri, progettato da Vittone, e la casa al numero 15 (l’ex
Regio albergo di Virtù, da tempo al centro di vari progetti sulla
sua futura destinazione) nella quale abitò, tra il 1919 e il 1921,
Antonio Gramsci, allora segretario della sezione socialista di
Torino.
Al centro della piazza, durante
l’occupazione napoleonica, vi era la ghigliottina (la prima testa a
cadere fu quella di una donna, la "bela caplera", la bella
cappellaia) e poi, durante la restaurazione, fu collocata la forca.
Tra il 1800 e il 1815, in quella che si era provvisoriamente chiamata
piazza della Libertà, si contarono più di 400 esecuzioni.
Da qualche tempo piazza Carlina è una
delle mete preferite della movida torinese in virtù di un paio di
locali (la brasserie Lutece e la vineria chez Gaby su tutti)
particolarmente alla moda: nelle sere di primavera e d’estate si
anima che è una meraviglia.
Mole Antonelliana
Simbolo della città e ardita
costruzione, fu iniziata nel 1862 da Alessandro Antonelli come tempio
israelitico; dopo una sospensione, i lavori ripresero nel 1878 con la
costruzione sopra la volta di una camera di granito, su cui poggiano
una lanterna a due piani e quindi un cono altissimo che trasforma la
pianta da quadrata in circolare.
Completa l'ormai altissima guglia una
serie di elementi conici e cilindrici, conclusi da una cuspide di
forma piramidale a base ottagonale, realizzata poi in due parti.
Un genio alato sulla guglia conclude
l'opera nel 1889, quando la direzione del cantiere è passata a
Costanzo Antonelli, figlio del defunto architetto.
La Mole, con i suoi 163,35 metri di
altezza, è il più alto edificio in muratura del mondo.
Nell'agosto 1904 un uragano rovescia la
statua, sostituita da un stella, e nel 1953 un temporale abbatte
oltre quaranta metri di cuspide, sostituita nel 1958-1961 da una
struttura metallica rivestita in pietra, rafforzando così anche le
strutture inferiori.
All'interno un'aula a pianta quadrata è
coperta da una volta a padiglione nervata; all'esterno i quattro
fronti assumono una configurazione omogenea.
Un ascensore panoramico conduce al
tempietto sotto la guglia, da cui si gode un bellissimo panorama
della città e delle montagne circostanti.
La Mole attualmente è sede del museo
Nazionale del Cinema.
“ Miei cari amici vicini e lontani,
buonasera ovunque voi siate”, con queste parole di Nunzio Filogamo
( frutto di una registrazione dell’epoca) si è aperta questa
mattina presso il Museo della Radio e della Televisione della RAI di
Torino, la cerimonia di intitolazione del giardino di via Montebello
di fianco alla Mole Antonelliana, in memoria del presentatore per
eccellenza della radiotelevisione italiana.
Giardino di Nunzio Filogamo
In considerazione dell’importanza del
legame artistico e personale con Torino, il Consiglio comunale di
Torino ha unanimamente deciso di dedicare a Nunzio Filogamo un
giardino con una lapide: “non un giardino qualunque – ha
ricordato il Presidente del Consiglio Mauro Marino – ma quello di
via Montebello, che unisce idealmente la Mole Antonelliana, il
simbolo più noto della nostra città, sede del Museo del Cinema, con
il Palazzo della Radio, che ospita ancor oggi importanti e attivi
studi radiofonici. Un luogo ricco di significato, nel centro storico
della città, che contribuirà a rendere indelebile anche per le
generazioni future il ricordo di Nunzio Filogamo”.
Nunzio Filogamo nacque a Palermo il 20
settembre 1902 ma visse sempre in Piemonte soprattutto a Torino, a
parte una parentesi giovanile passata a Losanna. Divenne famoso come
attore radiofonico nella commedia “I quattro Moschettieri”
interpretando il ruolo di Aramis. Arrivò poi l’epoca d’oro della
radio italiana e la radio trovò in Filogamo il suo
“divo-presentatore”. Nel primo Festival di Sanremo (1952), e per
le quattro successive edizioni la canzone italiana scelse Filogamo a
presentarla sul palco. Divenne celebre il suo saluto “ Miei cari
amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate” pronunciato
nel 1952 in occasione della manifestazione Sanremese. Nunzio Filogamo
morì a Rodello d’Alba il 24 gennaio 2002.
Piazza Castello
La grande piazza quadrangolare è da sempre il fulcro storico e politico della città, per le vicende di cui fu teatro e per gli ampliamenti urbanistici che da qui partirono, con l'apertura delle odierne via Roma, via Po e via Pietro Micca.
La grande piazza quadrangolare è da sempre il fulcro storico e politico della città, per le vicende di cui fu teatro e per gli ampliamenti urbanistici che da qui partirono, con l'apertura delle odierne via Roma, via Po e via Pietro Micca.
La storia della piazza comincia nella
seconda metà del trecento, quando i principi di Savoia-Acaia
decidono di demolire gli isolati adiacenti al castello e le mura
della città, creando un'area di rappresentanza usata per eventi
dinastici.
Tale spazio diventa "piazza"
solo a partire dalla fine del XVI secolo, grazie agli interventi
degli architetti Ascanio Vittozzi (1587), che sistemò l'ala
occidentale con edifici a portici, Amedeo di Castellamonte e Filippo
Juvarra.
Quest'ultimo realizzò sul lato ovest
della piazza la facciata monumentale giustapposta al castello
(1718-1721) ed il padiglione delle ostensioni della Sindone,
smantellato in età napoleonica e sostituito dalla cancellata di
Pelagio Palagi, posta davanti a palazzo Reale (detta dei Dioscuri,
1835-1842).
Al centro sorge palazzo Madama, cioè
l'antico castello da cui la piazza prende il nome, circondato da tre
monumenti: davanti alla facciata quello dedicato all'Alfiere
dell'Esercito sardo (opera di Vincenzo Vela, 1857-1859), a sud quello
ai Cavalieri d'Italia (Pietro Canonica, 1923) e ad est quello a
Emanuele Filiberto duca d'Aosta (1937, su disegno di Eugenio
Baroni).
Palazzo Madama
La sua storia ha inizio già in epoca
romana, alla quale risalgono, come resti della porta pretoria, le due
torri poi conglobate nella facciata barocca dell'edificio.
Guglielmo VII, marchese di Monferrato
nel XIII secolo, vi addossò una casa-forte; passato ai Savoia, il
castello venne ampliato sotto Ludovico d'Acaia, signore di Torino nel
'400, con l'aggiunta del fronte posteriore.
Perduta in seguito la funzione
difensiva, iniziarono le opere di abbellimento che lo trasformarono
in un palazzo per la famiglia ducale.
Un grande impulso artistico si ebbe con
le "madame reali" Cristina di Francia, moglie di Vittorio
Amedeo I, reggente per il figlio dal 1637, e Maria Giovanna Battista
di Savoia-Nemours, seconda moglie di Carlo Emanuele II, reggente dal
1675, dalle quali il palazzo prese il nome.
Dell'ambizioso progetto presentato da
Filippo Juvarra venne realizzata solo la nuova facciata (1718 -
1721), grandiosa nella scansione all'ordine superiore di lesene e
colonne corinzie scanalate e ampi finestroni; spettano a Giovanni
Baratta i rilievi con trofei militari, i vasi e le statue della
balaustrata.
Dall'atrio partono le due rampe dello
scalone, con vestibolo superiore, straordinaria creazione
dell'architetto messinese.
Nel 1799 palazzo Madama fu occupato da
un governo rivoluzionario e nel 1801 venne distrutta la galleria che
lo univa a Palazzo Reale. Quindi fu sede della Regia Pinacoteca dl
1832 al 1865, dell'Osservatorio astronomico (demolito nel 1920), del
Senato subalpino e poi italiano (1848 - 1864) e della Corte di
Cassazione, fino alla cessione nel 1924 del primo piano al municipio,
che decise di trasferirvi nel 1934 il Museo Civico di Arte Antica,
riaperto il 16 dicembre 2006 dopo un lungo periodo di restauri.
Museo Egizio
E' considerato tra i maggiori musei
egizi del mondo, con quelli del Cairo e di Londra: sua peculiarità è
la compresenza di oggetti artistici e di materiali e utensili di uso
quotidiano.
Già nel '700 i Savoia possedevano una
raccolta di antichità egizie, cui si aggiunsero i reperti e le
statue portati da Vitaliano Donati, inviato in Egitto da Carlo
Emanuele III.
Ingresso del Museo Egizio e della
Galleria Sabauda
Ingresso del Museo Egizio e della
Galleria Sabauda
Nel 1824 Carlo Felice acquistò la
collezione di Bernardino Drovetti, console generale di Francia in
Egitto e, dotandolo della attuale sede, creò di fatto il primo museo
egizio del mondo.
Importanti acquisizioni si ebbero
durante la direzione di Ernesto Schiaparelli e di Giulio Farina, che
condussero campagne di scavo rispettivamente dal 1903 al 1920 e dal
1930 al 1937.
La visita inizia al piano terreno dalle
due sale dello statuario, dove sono esposte due sfingi con il volto
di Amenhotep III, una statua di dea con diadema, le monumentali
statue di Amenhotep II, Ramses II in basanite nera, Sethi II, della
principessa Redi, il gruppo del re Tutankhamon III e del dio Amenca,
la statua di Thutmose III e grandi sarcofagi in pietra.
Nella sala vicina è stato ricostruito
il tempietto rupestre di Ellesija (circa 1450 a.C.), donato al museo
per l'opera svolta dagli archeologi italiani in occasione del
salvataggio dei monumenti della Nubia, minacciati dalla diga di
Assuan.
Nella sala sotterranea dell'ala
Shiaparelli sono visibili i reperti di scavo provenienti dalle
località di Gebelein e Qau-el-Kebir.
Al primo piano, nella prima sala sono
esposte stele funerarie e lapidi. Nella seconda sono documentate le
usanze funebri: mummie, sarcofagi, canopi, statuette, amuleti e
"Libri dei Morti".
Nella terza sala vi sono manufatti
dall'età paleolitica a quella copta; in questo corridoio si aprono
tre salette.
Nella prima vi è una tomba di ignoti
(2400 a.C.) ritrovata intatta a Gebelein, nella seconda vi è la
cappella funeraria del pittore Meie (1300 a.C.); nella terza saletta
è ricomposta la tomba dell'architetto Kha e della moglie Mirit (1400
a.C.), rinvenuta a Dair-el-Medina con la suppellettile intatta.
Nella quarta sala sono collocati la
famosa mensa isiaca e alcuni strumenti per la tessitura.
Nella quinta sala sono esposti alcuni
dei molti papiri posseduti dal museo, tra i quali il Canone regio, il
papiro giudiziario, una carta topografica, il papiro satirico ed il
cosiddetto "ostrakon" della danzatrice.
La sesta sala è dedicata alle arti ed
ai mestieri, la settima alla religione, con mummie di animali sacri,
l'ottava alla pittura, con tempere strappate dalla tomba di Iti a
Gebelein.
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