01 gennaio 2016

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"Siria un incubo chiamato "proxy war" la guerra per procura" di Gideon Rachman 7 ottobre 2015 Il sole 24Ore (link all'articolo)
Negli anni 30 del secolo scorso la guerra civile in Spagna risucchiò una gran quantità di forze straniere, con i nazisti tedeschi a sostegno dei nazionalisti, l'Unione Sovietica in aiuto dei repubblicani e gli idealisti di tutto il mondo che si ammassavano per combattere con l'una o l'altra delle parti in conflitto. Un'analoga “proxy war”, guerra per procura, è in corso oggi in Siria, con i bombardamenti delle forze aeree sia della Russia che degli Stati Uniti e i combattenti stranieri che si riversano nel Paese.
La trasformazione di una guerra civile in una guerra per procura tra potenze venute dall'esterno è quasi invariabilmente uno sviluppo tragico e pericoloso. In Siria, questo cambiamento ha reso la guerra più lunga, più cruenta, più pericolosa per il resto del mondo e più difficile da finire. Dopo quattro anni, una guerra civile convenzionale avrebbe già potuto essersi spenta, offrendo ai siriani qualche possibilità di ricostruire le loro vite e il loro Paese. Tuttavia, con le potenze esterne che versano benzina sul fuoco del conflitto, è evidente che solamente una qualche forma di accordo internazionale può offrire una speranza per la conclusione delle ostilità.
Che cosa succede secondo il giornalista inglese quando una guerra civile si trasforma in una guerra per procura?
Che cos'è una guerra per procura?

 

Purtroppo, sembra di essere ancora nel bel mezzo della fase di escalation, dal momento che le potenze esterne intensificano i loro sforzi sul campo di battaglia, sperando o di conseguire una vittoria per la “loro” parte oppure di garantirsi una posizione di maggiore forza in vista di eventuali colloqui di pace. Iran, Russia e le milizie Hezbollah sono intervenute a nome del regime del presidente Bashar-al-Assad. Stati Uniti, Arabia Saudita, monarchie del Golfo, Turchia, Francia e Regno Unito hanno sostenuto le forze di opposizione.
Nel frattempo, gli jihadisti stranieri continuano ad affluire verso la Siria per combattere come aderenti all'Isis, l'autoproclamato califfato islamico.
Quali sono gli schieramenti in campo nella guerra per procura che si combatte in Siria?

Le guerre per procura sono disastrose per i Paesi sul cui territorio vengono combattute, ma possono risultare molto pericolose per le stesse potenze che alimentano il conflitto. Il rischio più ovvio è che una guerra combattuta inizialmente attraverso alleati che agiscono per procura possa sfociare in un conflitto diretto. I Paesi che avevano sostenuto le opposte fazioni negli anni 30 in Spagna si ritrovarono poi a combattere direttamente, una contro l'altra, negli anni 40. Il pericolo che il conflitto siriano conduca a un scontro aperto tra iraniani e sauditi, o persino tra russi e americani, non può essere sottovalutato, in modo particolare quando le forze aeree rivali si stanno muovendo in un contesto operativo di stretta prossimità.

Tuttavia, i pericoli di una guerra per procura vanno ben oltre il rischio di un conflitto diretto. I focolai di un conflitto sono difficili da controllare una volta che sono stati deliberatamente propagati. Il Pakistan e gli Usa, per esempio, combatterono una guerra per procura contro l'UnioneSovietica in Afghanistan negli anni 80, ma successivamente si trovarono a soffrire molto per il “ritorno di fiamma” dei militanti islamici che avevano appoggiato nel Paese.
Non è difficile vedere come il conflitto siriano possa generare un analogo ritorno di fiamma per alcune delle nazioni coinvolte nel conflitto.

Il governo dell'Arabia Saudita è chiaramente minacciato da alcuni degli stessi gruppi di militanti islamici che ha incoraggiato e sostenuto in Siria. La Russia, a sua volta, rischia di infiammare le popolazioni musulmane che vivono all'interno dei suoi confini e di essere pesantemente trascinata in un'altra guerra se anche il conflitto in Ucraina si incattivisce.
Malgrado questi rischi, le potenze estere continuano a farsi coinvolgere nel conflitto, perché temono che la loro sicurezza e il loro status possa indebolirsi se consentono ad altre nazioni o credi religiosi di prendere l'iniziativa.

L'esempio più evidente è la battaglia tra le forze sunnite e quelle sciite dell'Islam. Il regime di Assad è sostenuto dagli Stati a dominazione sciita, in particolare Iran e Iraq. Le forze anti-Assad sono supportate dagli Stati sunniti: Arabia Saudita, le monarchie del Golfo e la Turchia.
A questa contesa tra potenze regionali si sovrappone lo scontro tra Russia e Usa, con la prima schierata con Assad e i secondi che continuano a reclamare la sua cacciata. La contesa Russia-Usa riguarda in parte l'influenza nel Medio Oriente, ma presenta anche più ampi risvolti geopolitici e ideologici. Mosca e l'Occidente stanno già ingaggiando una guerra per procura sul futuro dell'Ucraina.
Quali sono gli stati sunniti e quali quelli sciiti?
Come sono schierati la Russia e gli Stati Uniti?

Sono inoltre ai ferri corti sul più generale concetto di sostegno a un “cambio di regime” contro i governi antidemocratici e oppressivi.
L'Isis aggiunge un ulteriore strato di complicazione. In teoria, la minaccia dei militanti jihadisti potrebbe unificare tutte le potenze esterne. In pratica, le potenze occidentali hanno accusato la Russia di ignorare in gran parte l'Isis e invece di puntare l'obiettivo sui gruppi più moderati che combattono il regime di Assad, alcuni dei quali beneficiano proprio del sostegno occidentale.
C'è un analogo fattore di tensione, benché di profilo non così elevato, tra Usa e Turchia.
Di che cosa accusano la Russia le potenze occidentali?

Gli americani hanno accolto con favore la disponibilità della Turchia a partecipare ai bombardamenti contro l'Isis, ma sono rimasti costernati nello scoprire che i turchi sono più inclini ad attaccare le milizie curde, tra le poche forze non-jihadiste a combattere Assad in modo efficace.
Tutte le nazioni che sono intervenute in Siria sono motivate, in larga misura, dalla paura. I sauditi temono l'ascesa dell'Iran e, a loro volta, gli iraniani temono che il governo alleato in Siria venga rimpiazzato da uno Stato ostile a dominazione sunnita.

Il presidente russo Vladimir Putin – di fronte a un'economia che si contrae e allo stallo in Ucraina – vuole prevenire un nuovo “cambio di regime” sponsorizzato dagli occidentali. Gli Stati Uniti si sentono in dovere di rispondere, per paura che l'amministrazione Obama sia nuovamente accusata di accettare passivamente un declino della potenza americana, secondo una percezione che rischia di risultare auto-avverante.
Tutte queste nazioni temono che le loro debolezze finiscano allo scoperto o addirittura risultino accentuate se la loro parte viene vista “perdere” in Siria. Tutti quanti sembrano incapaci di agire nel reciproco interesse di porre fine a un conflitto che li minaccia tutti. Fino a quando non decideranno di cooperare, lo strazio del popolo siriano continuerà.
Copyright The FinancialTimes Limited 2015 (link all'articolo del Financial Times)
(Traduzione di Marco Mariani)

L'Occidente nella trappola dell'odio tra sunniti e sciiti 
di AlbertoNegri  28 giugno 2015  Il sole 24Ore (link all'articolo)
Se martedì 30 giugno, salvo rinvii incombenti, venisse firmata l’intesa sul nucleare dell’Iran, questo sarebbe davvero un brutto colpo per l’Arabia Saudita e Israele ma anche per il Califfato e i jihadisti sunniti, i cui maggiori nemici, oltre ai curdi, sono proprio gli sciiti militanti: dalla repubblica islamica degli ayatollah agli Hezbollah libanesi, dal regime alauita di Damasco di Assad ai ribelli Houti dello Yemen. In apparenza un'intesa per mettere sotto controllo il nucleare iraniano dovrebbe tranquillizzare i rivali sunniti del Golfo e lo stato ebraico, in realtà questo accordo, sempre che si faccia, rilancia l’Iran, alleggerito dalle sanzioni, nel grande gioco internazionale.

Siamo a un punto di svolta perché si comincia a delineare una parte fondamentale del rebus mediorientale, le cui guerre sono arrivate a insanguinare il cuore del continente. Tra Arabia Saudita e Iran, l’Occidente è chiamato a scegliere nel conflitto tra sciiti e sunniti all'origine dell’attuale destabilizzazione mediorientale.

È un po’ come stare tra Scilla e Cariddi, navigare pericolosamente tra un gorgo e uno scoglio: da una parte l’Iran, che dalla rivoluzione islamica del 1979 di Khomeini ha rappresentato per tre decenni la roccaforte anti-occidentale dello sciismo; dall’altra l’Arabia Saudita, custode di Mecca e Medina, il più oscurantista dei Paesi arabi, bastione del wahabismo, versione retrograda e ultra conservatrice dell’Islam. Insomma siamo stretti tra due integralismi, con la differenza che quello iraniano oggi è nemico dei nemici dell’Occidente, cioè del Califfato e dei jihadisti, la cui ideologia, affine all’Islam ultraortodosso saudita, è un’utopia reazionaria contraria a ogni versione moderata e riformista della religione del Profeta.Ma il rebus è assai complicato da sciogliere proprio per gli interessi occidentali. L’Arabia Saudita e le petromonarchie del Golfo sono tra i maggiori investitori in Europa, rappresentano i ricchi clienti delle nostre industrie di armi e sono da sempre strategici fornitori di petrolio. I rapporti politici con il Golfo sono ambigui fino dagli anni ’80 quando Stati Uniti ed Europa appoggiarono l’attacco iracheno di Saddam all’Iran: quel primo conflitto nel Golfo, durato otto anni con un milione di morti, fu l’apertura in grande stile della guerra tra sciiti e sunniti. Allora l’Occidente e gli americani decisero di non scegliere: si vendevano armi agli iracheni ma anche all’Iran. Dal conflitto, per la teoria del “doppio contenimento”, non dovevano uscire né vinti né vincitori.

Allo stesso tempo Riad era diventato il grande alleato degli Stati Uniti contro l’Urss dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979: i sauditi spesero 4 miliardi di dollari per appoggiare i mujaheddin contro l’Armata Rossa e le monarchie del Golfo altri 50 per sostenere un Saddam Hussein che alla fine del conflitto con l’Iran era così indebitato fino al collo da decidere l’invasione del Kuwait nel’90.

Questo “equilibrio”, come si vede molto precario, manovrato dall’Occidente e dagli Stati Uniti, è stato rotto dall’invasione americana dell’Iraq del 2003 che ha consegnato il Paese alla maggioranza sciita esautorando i sunniti. Tutto quello che vediamo oggi è una lotta tra chi vuole conservare le posizioni raggiunte, gli sciiti, e le potenze sunnite che cercano una rivincita frammentando l’Iraq e tentando di abbattere in Siria Bashar Assad. Il califfato e i jihadisti sono funzionali alla strategia sunnita che ha come obiettivo sconfiggere l’Iran e tenere lontani da casa propria estremisti che contestano le monarchie arabe.

Anche per questi motivi la coalizione internazionale anti-Isis per le potenze sunnite è una fiction. Perchè mai dovrebbero bombardare i jihadisti nemici dell’Iran? Casomai li aiutano, in Iraq, in Siria, in Yemen, tutti campi di battaglia di una guerra per procura in corso da anni. Se ne libereranno, se ci riescono, più tardi.

L’espansione del Califfato è stata resa possibile dagli errori dell’occidente, con l’invasione Usa dell’Iraq e la disgregazione, sull’onda delle primavere arabe, di stati come la Siria, accompagnata da quella di Yemen e Libia. Oggi restano quattro sole potenze regionali: Turchia, Iran, Israele e Arabia Saudita e di queste soltanto l’ultima è araba. Ognuna ha i suoi obiettivi. La Persia dominare il Golfo, la Turchia espandere la sua influenza nel Nord della Siria e dell'Iraq, l’Arabia Saudita mantenere la leadership religiosa e ideologica del mondo musulmano, Israele garantirsi a ogni costo la sopravvivenza.

Gli Stati Uniti, che non hanno più bisogno del petrolio mediorientale, hanno deciso di “guidare da dietro” questa transizione, mentre Mosca tiene le posizioni soprattutto in Siria con la base di Tartous. Quanto all’Europa oggi appare un cliente degli Stati del Golfo: non li influenza più, anzi ne è influenzata sotto il profilo economico ma anche politico. Ecco perché la guerra al Califfato e al terrorismo è così ambigua e finora tutto sommato inefficace. Vedremo tra qualche giorno se l’intesa possibile tra il Cinque più Uno e l’Iran diventerà una vera svolta o l’ennesimo rinvio delle scelte dell’Occidente.

A chi attribuisce il giornalista l'espansione del Califfato?
Quale differenza c'è tra l'interpretazione della situazione di questo giornalista e quella del precedente giornalista?



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