18 settembre 2017

La nostra più recente antenata comune: Eva mitocondriale



Il più famoso mito prescientifico occidentale, mutuato dalla Genesi mediorientale, narra la nascita dell' umanità in due maniere contradditorie: come ultimo passo di un processo cosmico che parte dalle stelle e arriva all' uomo e alla donna, passando ordinatamente attraverso le piante e gli animali, ma anche come primo passo di un processo terraqueo che pone disordinatamente l' uomo agli inizi e la donna alla fine della creazione, nella quale piante e animali vengono nel mezzo. Nel primo racconto «Dio li creò maschio e femmina e li chiamò Adamo»: un nome che deriva dall' ebraico adam, «terra», così come in latino «homo» deriva analogamente da «humus». Poiché «uomo» significa dunque semplicemente «terrestre», senza connotati di genere, «l' uomo» può venire e viene usato come sinonimo di «umanità», in maniera inclusiva sia dei maschi che delle femmine. Nel secondo racconto, invece, è solo il primo maschio a essere chiamato Adamo, mentre la prima femmina deriva da una sua costola e «si chiamerà donna ishah, perché è stata tolta dall' uomo ish: la subalternità etimologica dell' ebraico rimane in inglese tra man e woman (che significa «moglie dell' uomo»), ma in italiano va perduta, benché ne rimanga comunque una traccia negli appellativi «don» e «donna» (i quali derivano però da dominus e domina, signore e signora). è dal secondo racconto biblico, che rincara la dose addossando alla donna la colpa del cedimento alla tentazione del serpente, che deriva la perenne supposizione della sua subalternità e inferiorità rispetto all' uomo, oltre che la duratura credenza che ella avesse veramente una costola meno di lui: il primo a sostenere il contrario fu il medico Andrea Vasalio nella sua Fabbrica del corpo umano del 1543, sollevando naturalmente un pandemonio e finendo ovviamente sotto le grinfie dell' Inquisizione. Nel Genesi è solo dopo il peccato originale che la prima donna riceve il nome di Eva, da hawwah, «vita», perché «essa fu la madre di tutti i viventi». E questa è finalmente una frase biblica alla quale si possono dare un senso scientifico e un significato veritiero, se si passa dal piano del mito a quello dei mitocondri: tutti gli uomini, maschi e femmine, possiedono infatti nelle loro cellule, e più precisamente nel citoplasma che avvolge il loro nucleo, delle minuscole strutture così chiamate. In realtà, i mitocondri non sono una caratteristica degli umani: si trovano nella maggior parte delle cellule eucariote, e sono le centrali nelle quali si converte il cibo in energia e calore. Essi derivano probabilmente da batteri procarioti che qualche centinaia di milioni di anni fa hanno invaso cellule più evolute, diventandone parassite o simbionti. Ma a noi interessa il fatto singolare che il loro DNA, oltre ad essere molto più corto di quello cellulare, si trasmette negli uomini, così come nella maggior parte degli animali, unicamente per via materna: la storia dei mitocondri, dunque, è la storia dell' umanità vista dal lato delle donne. Per nostra fortuna questa storia si è potuta leggere recentemente, grazie a un paio di circostanze favorevoli. La prima è il fatto che durante la riproduzione cellulare il testo del DNA mitocondriale viene copiato con abbastanza errori, ma non troppi: circa uno ogni cinquanta milioni di lettere. La seconda è il fatto complementare che si è trovata una sequenza di circa cinquecento lettere in cui questi errori sono particolarmente frequenti, benché ininfluenti sul funzionamento della cellula. Questa sequenza costituisce come un orologio cellulare, i cui battiti sono scanditi dagli errori di trascrizione: all' incirca, uno ogni diecimila anni. Nel 1987 Allan Wilson, Rebecca Cann e Mark Stoneking proposero allora di suddividere la popolazione mondiale in gruppi basati sulle differenze del DNA mitocondriale di quella sequenza: ogni gruppo con la stessa sequenza discende da un' unica progenitrice, le progenitrici di gruppi che differiscono per un' unica lettera discendono a loro volta da un' unica progenitrice, e così via all' indietro, fino all' unica progenitrice dell' intera razza umana attuale, che fu subito battezzata Eva Mitocondriale. Un' azione concertata di vari ricercatori ha poi portato in qualche anno alla determinazione di una trentina di gruppi diversi nel mondo (sette nella sola Europa, come raccontato da Bryan Skyes in Le sette figlie di Eva), che risalgono dunque a una trentina di «eve» locali. La loro prima progenitrice comune è vissuta circa 150.000 anni fa in Africa Centrale ed è dunque l' Eva Nera, da cui tutti discendiamo per parte di madre, che dà il titolo all' ultimo libro di Franco Prattico (Codice, pagg. 73, euro 9,90). Naturalmente, non si tratta della prima donna nel senso in cui lo intende il mito biblico, così come non è stato il primo uomo l' Adamo Cromosomico, vissuto circa 75.000 anni fa e determinato in maniera analoga usando il cromosoma maschile Y, che si trasmette unicamente per via paterna e unicamente ai maschi. Meno che mai, poi, si tratta di una prima coppia, visto che i due non sono neppure vissuti nello stesso periodo: piuttosto, l' Eva Mitocondriale e l' Adamo Cromosomico sono soltanto gli esseri più recenti che hanno trasmesso i propri mitocondri e i propri cromosomi a tutti i viventi attuali, mentre i loro contemporanei o erano loro antenati, o hanno avuto una discendenza che prima o poi si è arenata in madri senza figlie (come la povera Eva biblica) o padri senza figli. Ma si tratta comunque di esseri realmente vissuti e Prattico, il bravo decano dei giornalisti scientifici italiani, ne sottolinea la concretezza lasciando che sia l' Eva Nera stessa a raccontarci la sua storia in prima persona. Un' interessante storia ginocentrica, che ribalta quella convenzionale letteralmente antropocentrica, incentrata sull' uomo in tutto, dalle astrazioni delle divinità maschili alle concretezze della trasmissione paterna dei cognomi: mentre l' albero genealogico costruito con questi ultimi ha un significato biologico soltanto per i maschi, però, quello costruito con cognomi trasmessi per via materna coinciderebbe invece con l' albero mitocondriale, e risalirebbe dunque fino all' Eva Nera. La sussurrata storia ufficiosa narrata da quest' ultima ricorda che le donne non sono sempre state marginali, come pretende invece la strombazzata storia ufficiale narrata dagli uomini. Ad esempio, è probabile che il linguaggio sia nato dall' interazione prolungata tra madri e figli e dal bisogno delle prime di interpretare le esigenze e i bisogni dei secondi. Che l' agricoltura sia lo sviluppo di un sistema domestico di alimentazione, volto a sopperire l' aleatorietà della caccia e a integrarne la dieta. Che la casa e la sua organizzazione derivino dal bisogno femminile di una tana per allevare al sicuro una prole nata immatura e bisognosa di un lungo svezzamento. Che la sparizione dell' estro periodico e la conseguente privatizzazione del sesso rappresentino uno stimolo per indurre il maschio alla cooperazione famigliare, e così via. Naturalmente, la mitologia antica ha registrato questa centralità primordiale della donna in una profusione di divinità femminili di fertilità, abbondanza e amore: dalla Gran Madre alla Madre Terra, da Iside a Gaia, da Afrodite a Venere, da Persefone a Proserpina, da Artemide a Diana, da Lakshmi a Parvati, dalle Grazie alle Ninfe. Ad esse gli uomini affiancarono invece altrettante figure femminili di destino, divisione e morte: dalle Moire alle Parche, dalle Erinni alle Furie, da Eris a Discordia, da Kali a Durga, dalla Regina della Notte a Eva, appunto, il cui mito non è altro che una delle innumerevoli variazioni sul tema della subalternità, biologica e morale, della donna rispetto all' uomo. Un tema ripreso ancora nel Novecento da Sigmund Freud, che scrisse ad esempio nel Compendio di Psicanalisi del 1938: «Fin dall' inizio la bambina invidia ai ragazzi il possesso del pene. Si può dire che tutto il suo sviluppo psichico sia condizionato dall' invidia del pene». E invece, con buona pace dello stregone viennese, oggi sappiamo che non sono affatto le donne a essere degli uomini mancati, ma viceversa: il cromosoma Y ha infatti appunto la funzione di impedire lo sviluppo di un corpo femminile, inibendo la formazione delle ovaie e favorendo la crescita dei testicoli e la produzione del testosterone. Alle donne, dunque, non si può certo imputare nessuna inferiorità biologica: al massimo, soltanto un po' di stupidità logica, visto che nonostante tutte le angherie e le vessazioni che subiscono dagli uomini, continuano a farseli piacere e ad amarli. PIERGIORGIO ODIFREDDI (in archivio Repubblica)

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