44 A questo orribile episodio ne seguì in città un altro, nato dalla 
libidine. Le conseguenze non furono tuttavia meno disastrose di quelle 
che, a causa dello stupro e del suicidio di Lucrezia, avevano in passato
 portato alla cacciata dei Tarquini dal trono e da Roma. Così non 
soltanto la fine dei decemviri e dei re fu uguale, ma uguale fu anche la
 causa della perdita del potere. Appio Claudio venne preso dalla smania 
di possedere una vergine plebea. Il padre della ragazza, un uomo 
esemplare in pace e in guerra, comandava con onore una centuria 
sull'Algido. Nello stesso modo era stata educata sua moglie e la stessa 
educazione ricevevano i figli. Egli aveva promesso in sposa la figlia 
all'ex-tribuno Lucio Icilio, un uomo risoluto e di provato coraggio 
nelle lotte a favore della plebe. Appio, innamorato pazzo della ragazza -
 ormai adulta e straordinariamente bella - tentò di sedurla con proposte
 di denaro e con promesse. Ma, quando si rese conto che il pudore della 
ragazza gli precludeva ogni via, decise di ricorrere a una crudele e 
arrogante violenza. Diede disposizione a un suo cliente di nome Marco 
Claudio di andare a reclamare la ragazza come sua schiava e di non 
cedere di fronte a chi ne chiedesse la libertà provvisoria, pensando che
 l'assenza del padre fosse una circostanza favorevole a quel sopruso. 
Così, mentre la ragazza si stava recando nel foro - dove, nei 
padiglioni, avevano sede le scuole - il mezzano della libidine del 
decemviro le mise le mani addosso dicendo che era una schiava, figlia di
 una sua schiava, e le ordinò di seguirlo: se avesse opposto resistenza 
l'avrebbe trascinata via con la forza. La ragazza, sbigottita, rimase 
senza parole, ma le urla della nutrice, che implorava a gran voce la 
protezione dei Quiriti, fecero subito accorrere molta gente. I nomi di 
Verginio, il padre, e di Icilio, il fidanzato, erano sulla bocca di 
tutti. Per la stima di cui essi godevano presero le parti della ragazza i
 conoscenti, per l'indegnità dell'affronto la folla. La ragazza era 
ormai al sicuro dalla violenza, quando colui che la reclamava protestò 
dicendo che tutta quella gente non aveva alcun motivo di agitarsi: egli 
procedeva legalmente e non con la forza. Quindi citò la ragazza in 
giudizio. Siccome gli astanti che l'avevano aiutata le consigliarono di 
seguirlo, si presentarono tutti di fronte al tribunale di Appio. Lì 
l'accusatore inscenò una commedia ben nota al giudice - proprio lui ne 
aveva congegnato la trama -: la ragazza, nata nella sua casa, era in 
seguito stata rapita e portata in quella di Verginio, al quale era stata
 fatta passare per figlia sua. Diceva di avere le prove e di essere in 
grado di dimostrarlo al giudice, anche se fosse stato Verginio in 
persona, al quale toccava il danno maggiore. Per il momento era giusto 
che la schiava seguisse il padrone. I difensori della ragazza dissero 
che Verginio non era in città perché serviva la repubblica: se fosse 
stato informato, tempo due giorni, si sarebbe presentato. Siccome era 
ingiusto che si trovasse coinvolto in una controversia legata ai figli 
proprio durante la sua assenza, chiesero ad Appio di sospendere il 
giudizio fino al ritorno del padre, in maniera tale che, in base alla 
legge fatta approvare proprio da lui, si garantisse la libertà 
provvisoria alla ragazza, e non si permettesse così che la reputazione 
di una giovane illibata potesse esser messa in pericolo ancor prima che 
venisse emanato un giudizio circa la sua libertà.
 45 Appio prima di pronunziarsi sottolineò quanto egli fosse favorevole 
alla libertà: lo dimostrava proprio la legge invocata dagli amici di 
Verginio per sostenere la loro richiesta. Tuttavia tale legge avrebbe 
continuato a essere una garanzia sicura per la libertà, solo a patto che
 non subisse modifiche a seconda delle situazioni e delle persone: 
infatti nei casi di rivendicazione della libertà - visto che chiunque 
poteva intentare una simile azione legale - la libertà provvisoria era 
un diritto garantito. Ma, nel caso di una donna che si trovava sotto 
l'autorità paterna, allora la sola persona a favore della quale il 
padrone doveva rinunciare al possesso era appunto il padre. Di 
conseguenza sentenziò di farlo chiamare. Nel frattempo colui che la 
rivendicava non avrebbe dovuto esser privato del diritto di portarsi a 
casa la ragazza, promettendo però di farla comparire una volta che fosse
 arrivata la persona che sosteneva di esserne il padre.
Contro l'ingiustizia della decisione si levò un mormorio di 
disapprovazione, senza però che neppure uno osasse opporvisi 
apertamente. LA questo punto arrivarono Publio Numitorio, lo zio materno 
della ragazza, e il fidanzato Icilio. La folla fece loro largo poichè 
pensava che Icilio, col suo intervento, potesse opporsi ad Appio; un 
littore disse che ormai il verdetto era stato emesso e allontanò con la 
forza Icilio che protestava a gran voce. Un affronto tanto crudele 
avrebbe infiammato anche un temperamento mite. "Se vuoi cacciarmi via di
 qua, o Appio, sperando di far passare sotto silenzio ciò che non vuoi 
venga alla luce," gridò Icilio, "dovrai ricorrere alle armi. Questa 
ragazza diventerà mia moglie e per ciò io voglio che sia pura il giorno 
delle nozze. Dunque chiama pure tutti i littori, anche quelli dei 
colleghi, ordina che si tengano pronti con le verghe e con le scuri, ma 
stai pur sicuro che la promessa sposa di Icilio non passerà la notte 
fuori dalla casa di suo padre. Se siete riusciti a togliere alla plebe 
romana il sostegno dei tribuni e il diritto di appello, due baluardi a 
difesa della libertà, non per questo è stato concesso alla vostra 
lussuria pieno potere sui nostri figli e sulle nostre mogli. Infierite 
pure sulle nostre spalle e sulle nostre teste, ma almeno lasciate stare 
la castità delle donne. Se invece cercherete di violarla con l'uso della
 forza, allora a difesa della mia promessa sposa io invocherò l'aiuto 
dei Quiriti qui presenti, Verginio, per proteggere la sua unica figlia, 
quello dei commilitoni e tutti noi quello degli déi e degli uomini, 
mentre tu non riuscirai a eseguire questa sentenza senza versare il 
nostro sangue. Io ti chiedo, Appio, di valutare con estrema attenzione 
la strada che hai intenzione di percorrere. Verginio deciderà cosa fare 
per la figlia non appena sarà qui. Ma di una cosa soltanto stai pur 
certo: se si piegherà alle pretese di quest'uomo, dovrà cercare un altro
 marito per la figlia. Quanto a me, nel rivendicare la libertà della mia
 promessa sposa, rinuncerà prima alla vita che alla parola data."
 46 La folla era in fermento e sembrava imminente uno scontro. I littori 
avevano circondato Icilio, pur senza spingersi al di là delle minacce, 
benché Appio dicesse che lo scopo di Icilio non era di difendere 
Verginia ma, da uomo turbolento e ribollente di spirito tribunizio, di 
cercare un pretesto per suscitare disordini. Lui, quel giorno, non 
gliene avrebbe comunque fornito l'occasione. Ma sapesse sin da ora che 
il trattamento di favore veniva concesso non alla sua insolenza, ma 
all'assenza di Verginio, al nome di padre e alla libertà. Lui, Appio, 
quel giorno non avrebbe emanato un verdetto né anticipato alcuna 
decisione; avrebbe chiesto a Marco Claudio di rinunciare al suo diritto e
 di lasciare libera la ragazza fino al giorno seguente. Se poi 
l'indomani il padre non si fosse presentato, rendeva noto a Icilio e a 
quelli come lui che né il legislatore sarebbe venuto meno alla propria 
legge né la fermezza sarebbe venuta meno al decemviro. Non avrebbe fatto
 ricorso ai littori dei colleghi: per domare i responsabili dei 
disordini sarebbero bastati i suoi.
Dato che il sopruso era stato differito e i difensori della ragazza se 
ne erano andati, si decise che prima di tutto il fratello di Icilio e il
 figlio di Numitorio, due giovani risoluti, si dirigessero in fretta 
verso la porta della città e poi corressero all'accampamento a chiamare 
Verginio. La salvezza della ragazza era legata al suo presentarsi il 
giorno seguente a vendicare il torto subìto.
 47 A Roma stava albeggiando quando la gente, in piedi in trepida attesa 
nel foro, vide arrivare insieme a una folla di sostenitori Verginio 
vestito a lutto e con al braccio la figlia - anche lei vestita senza la 
minima cura -, e accompagnati da alcune matrone. Lì egli cominciò ad 
andare in giro in mezzo alla folla e a sollecitare i singoli, non 
limitandosi a chiedere aiuto per misericordia, ma esigendolo come cosa 
dovuta. Diceva di essere ogni giorno in prima linea a difesa dei loro 
figli e delle loro mogli, e sosteneva che di nessun altro soldato si 
potevano menzionare gesta più coraggiose e audaci compiute in guerra. A 
cosa giovava se, in una città incolume, i suoi figli dovevano subire gli
 estremi mali che si temono in una città conquistata? Si aggirava tra la
 gente dicendo queste cose come se fosse stato nel pieno di un'arringa. 
Appelli del tutto simili venivano lanciati da Icilio. Ma il pianto 
silenzioso delle donne che li accompagnavano commuoveva più di qualsiasi
 discorso. Di fronte a tutte queste manifestazioni, Appio, con un 
pensiero fisso - tanta era la forza della follia, non dell'amore, che 
gli aveva sconvolto la mente -, salì sul banco del tribunale. E mentre 
colui che rivendicava la ragazza si stava brevemente lamentando perché 
il giorno precedente non gli era stata resa giustizia per brighe 
illegali, prima ancora che avesse completato la richiesta o Verginio 
avesse avuto l'opportunità di ribattere, Appio lo interruppe. Forse 
qualche versione tramandata dagli antichi autori del discorso che egli 
premise alla sentenza risponde al vero. Ma dato che, per l'enormità 
della sentenza, non mi è stato possibile trovarne una che fosse 
plausibile, mi sembra opportuno riferire i nudi fatti riconosciuti da 
tutti; cioè che Appio accordò la schiavitù provvisoria. Dapprima lo 
stupore destato da una simile atrocità paralizzò tutti e per qualche 
minuto fu il silenzio generale. Poi, quando Marco Claudio, che si era 
fatto largo tra le matrone per afferrare la ragazza, venne accolto dal 
coro di singhiozzi e di lacrime delle donne, Verginio, minacciando Appio
 con il pugno chiuso, gridò: "Mia figlia, Appio, l'ho promessa a Icilio e
 non a te, e l'ho allevata per le nozze, non per lo stupro. A te piace 
fare come le bestie e gli animali selvatici che si accoppiano a caso? Se
 questa gente lo permetterà, non lo so: ma spero che non lo 
permetteranno quelli che possiedono le armi!"
Quando l'individuo che reclamava la ragazza venne respinto dal gruppo di
 donne e di conoscenti che le stavano attorno, un araldo ordinò di fare 
silenzio.
 48 Il decemviro allora, pazzo di libidine, dicendo di non basarsi 
soltanto sugli schiamazzi di Icilio del giorno prima e sulla violenza di
 Verginio (di cui era stato testimone il popolo romano), ma avvalendosi 
anche di certe informazioni avute, affermò di sapere per certo che 
durante tutta la notte si erano tenute in città delle riunioni con 
l'intento di organizzare una rivolta. Essendo quindi al corrente di quel
 progetto bellicoso, era sceso nel foro accompagnato da una scorta 
armata, certo non per usare violenza ai cittadini pacifici, ma, 
conformandosi alle attribuzioni della sua carica, per schiacciare chi 
turbava la quiete pubblica. "Da questo momento in poi, sarà meglio non 
agitarsi troppo. Vai, littore," gridò quindi, "allontana la folla e 
lascia libero il passaggio al padrone perché possa prendere la sua 
schiava!"  Dopo che Appio ebbe rabbiosamente tuonato queste parole, la 
folla si disperse spontaneamente, e la ragazza rimase sola, preda 
dell'ingiustizia. Allora Verginio, rendendosi conto di non poter più 
contare su alcun sostegno, disse: "Innanzitutto, Appio, ti prego di 
perdonare il dolore di un padre se poco fa ho inveito contro di te con 
molta durezza. In secondo luogo permettimi di domandare alla nutrice, 
qui in presenza della ragazza, come stanno le cose, cosicchè se mi si è 
dato del padre e non era vero, almeno io possa andarmene con l'animo un 
po' più sollevato." Ottenuto il permesso, prese con sé figlia e nutrice e
 le portò presso il tempio di Venere Cloacina, vicino alle botteghe che 
adesso si chiamano Nuove. Lì, dopo aver afferrato un coltello da 
macellaio, disse: "Così, figlia mia, io rivendico la tua libertà 
nell'unico modo a mia disposizione!" Detto questo, trafisse il petto 
della ragazza e quindi, rivolgendo lo sguardo al tribunale, gridò: "Con 
questo sangue, Appio, io consegno te e la tua testa alla vendetta degli 
déi!" L'urlo che seguì questo atroce episodio attirò l'attenzione di 
Appio il quale ordinò l'arresto di Verginio. Questi però, facendosi 
largo col ferro dovunque passava e con la protezione della folla che gli
 faceva da scorta, riuscì a raggiungere la porta della città.
(...) A chi gli domandava cosa fosse accaduto, 
Verginio per lungo tempo non riuscì a rispondere, soffocato com'era dal 
pianto. Ma alla fine, quando cessò lo scompiglio della folla che a poco a
 poco si era venuta radunando e ci fu silenzio, Verginio raccontò 
l'accaduto secondo l'ordine dei fatti. Poi, alzando le mani al cielo 
come se stesse pregando, e rivolgendosi ai commilitoni, li supplicò di 
non attribuire a lui il crimine, ma a Appio Claudio, e di non 
respingerlo alla stregua di chi aveva ammazzato i propri figli. La vita 
della figlia gli sarebbe stata più a cuore della sua, se la ragazza 
avesse avuto la possibilità di vivere libera e pura. Ma quando se l'era 
vista portar via come una schiava destinata allo stupro, pensando che 
fosse meglio esser privati dei figli dalla morte piuttosto che 
dall'oltraggio, la compassione lo aveva portato a commettere un atto in 
apparenza crudele. Non sarebbe però sopravvissuto alla figlia, se non 
avesse sperato di poterne vendicare la morte con l'aiuto dei 
commilitoni. Anche loro avevano figlie, sorelle e mogli: la libidine di 
Appio non si era certo spenta insieme con sua figlia, ma sarebbe 
divenuta più sfrenata se non fosse stato punito. La disgrazia toccata a 
un altro avvertiva ognuno di loro che stesse in guardia da un simile 
sopruso. Quanto poi a lui, la moglie gliel'aveva portata via il destino,
 mentre la figlia, visto che non avrebbe più potuto vivere conservando 
la castità, era andata incontro alla morte triste, ma onorata. Nella sua
 casa non c'era più posto per la libidine di Appio: da altre violenze di
 costui, avrebbe difeso la propria persona con lo stesso animo con cui 
aveva difeso la figlia. Che gli altri provvedessero quindi a se stessi e
 ai propri figli.
Mentre Verginio urlava queste cose, la folla gridava che non avrebbe 
dimenticato il suo dolore, né mancato di difendere la propria libertà. E
 i civili, mescolati alla massa dei soldati, ripetevano le stesse cose, 
insistendo su quanto più indegni sarebbero loro parsi i fatti se, invece
 di sentirseli raccontare, li avessero visti coi propri occhi, e dicendo
 che a Roma i decemviri avevano ormai le ore contate.
(...)  Allora 
Verginio disse: "L'oratoria è stata inventata per le cause incerte: 
perciò, né io starò a perdere tempo sciorinandovi le accuse a carico di 
un uomo dalla cui crudeltà vi siete liberati da soli con le armi, nè 
permetterò che costui aggiunga agli altri suoi crimini l'impudenza di 
difendersi. Dunque ti faccio grazia, Appio Claudio, di tutte le turpi ed
 empie nefandezze che, una dopo l'altra, hai osato compiere nel corso di
 due anni. Ma per una sola di esse io ordinerò di metterti in prigione, 
se non sceglierai un giudice e gli dimostrerai di aver a buon diritto 
negata la libertà provvisoria a una libera cittadina rivendicata come 
schiava." Appio non riponeva alcuna speranza né nell'aiuto dei tribuni, 
né nel verdetto del popolo. Ciononostante si appellò ai tribuni e, 
quando una guardia lo afferrò, senza che nessuno si opponesse, Appio 
disse: "Mi appello al popolo." Quella parola, che da sola garantisce la 
libertà, uscita dalla bocca da cui poco tempo prima era stata 
pronunciata una sentenza contro la libertà, provocò un grande silenzio. 
Dentro di sé ciascuno mormorava che alla fin fine gli dei esistevano e 
non trascuravano i casi umani; che, anche se in ritardo, tuttavia pene 
non lievi colpivano l'arroganza e la crudeltà; che si appellava colui 
che l'appello aveva abolito; che invocava il popolo colui che aveva 
privato il popolo di ogni diritto; che era incarcerato e privato della 
libertà colui che aveva condannato alla schiavitù una persona libera. 
Tra il mormorio dell'assemblea si udì la voce dello stesso Appio 
implorare la protezione del popolo romano. Ricordava i servigi resi alla
 patria dai suoi antenati in pace e in guerra, la sua sfortunata opera a
 favore della plebe romana, in conseguenza della quale, per rendere le 
leggi uguali per tutti, aveva rinunciato al consolato con grande 
rammarico dei patrizi, e infine le sue leggi, che erano ancora in vigore
 mentre si conduceva in carcere chi le aveva proposte. Quanto poi al 
bene e al male commessi, Appio disse che li avrebbe presi in esame 
quando gli fosse stata concessa l'opportunità di perorare la propria 
causa. Per il momento, in qualità di cittadino romano, secondo il comune
 diritto di cittadinanza, Appio chiese che, fissata la data, gli fosse 
permesso di parlare in propria difesa per poi affrontare il giudizio del
 popolo romano. Non temeva l'odio nei suoi confronti tanto da non 
riporre più alcuna speranza nell'equità e nella compassione dei suoi 
concittadini. Se invece fosse finito in carcere senza che gli fosse 
accordato di difendersi, allora si sarebbe di nuovo appellato ai tribuni
 della plebe, avvertendoli di non imitare quelli che essi avevano 
detestato. Se poi i tribuni si dicevano obbligati a negargli l'appello 
in base all'accordo che essi rimproveravano ai decemviri di aver preso 
in segreto, allora si sarebbe appellato al popolo, chiamando in causa le
 leggi sul diritto d'appello proposte quello stesso anno sia dai consoli
 che dai tribuni. Chi infatti poteva ricorrere in appello, se questo 
diritto non era concesso a un cittadino che non era ancora stato 
giudicato e del quale non si era sentita la difesa? Quale plebeo, quale 
modesto cittadino avrebbe potuto trovare sostegno nelle leggi, se esse 
non lo garantivano ad Appio Claudio? Il suo caso avrebbe stabilito se 
con le nuove leggi si era consolidata la tirannide oppure la libertà, e 
se il diritto d'appello al popolo e il ricorso contro le ingiustizie dei
 magistrati erano veramente concessi o erano chiacchiere senza 
fondamento.
 (...)
57 Ma Verginio replicò che Appio Claudio era l'unico uomo a trovarsi al 
di là della legge e a non avere alcun rapporto col consorzio umano e 
civile. Invitò poi la gente a rivolgere lo sguardo al tribunale, 
ricettacolo di ogni crimine: lì quel decemviro a vita, acerrimo nemico 
dei cittadini e dei loro beni, delle loro persone e del loro sangue, che
 minacciava tutti con verghe e scuri, senza portare alcun rispetto a dei
 e uomini. Circondato com'era non di littori ma di carnefici, aveva 
ormai spostato i suoi interessi dalle razzie e dagli assassini alla 
libidine: così, di fronte agli occhi di tutto il popolo romano, aveva 
strappato dalle braccia del padre una ragazza di condizione libera e, 
trattandola alla stregua di una prigioniera di guerra, l'aveva data in 
dono a un cliente che in casa sua gli faceva da cameriere. Sui banchi di
 quel tribunale Appio, con una sentenza disumana e un'assegnazione 
nefanda, aveva armato la mano destra di un padre contro la figlia. 
Sempre in quel tribunale, mentre il fidanzato e lo zio sollevavano da 
terra il corpo esanime della giovane, aveva ordinato che fossero 
imprigionati, infuriato più per l'impedimento dello stupro che per 
l'uccisione della ragazza. Anche per Appio era stato costruito quel 
carcere che lui amava definire residenza del popolo romano. Perciò, 
anche se avesse continuato ad appellarsi all'infinito, all'infinito 
Verginio gli avrebbe intimato di presentarsi di fronte a un giudice per 
dimostrare di non aver pronunciato una sentenza di schiavitù provvisoria
 nei riguardi di una libera cittadina. Se poi Appio non fosse comparso 
di fronte al giudice, allora avrebbe dato ordine di portarlo in prigione
 come se fosse stato condannato. Fu condotto in carcere; anche se 
nessuno si alzò per esprimere disapprovazione, ciononostante grande fu 
il disagio, perché la punizione di una personalità così importante 
faceva sembrare alla plebe eccessiva la sua stessa libertà.
 
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