17 aprile 2015

La fine del monopolio occidentale sul potere di Pascal Boniface in "Per l'uguaglianza"



La fine del monopolio occidentale sul potere  di Pascal Boniface
Molti esperti e dirigenti politici affermano che in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 il mondo è cambiato. Si sarebbe verificata una spaccatura storica che ha frantumato gli equilibri strategici e dato vita a un nuovo assetto mondiale. Ma in questo modo si confonde lo choc emotivo (estremamente forte) provocato da quegli attentati con il loro (debole) impatto sulle strutture stesse delle relazioni internazionali.
Quegli eventi, che tutti ricordiamo perché li abbiamo visti quasi in diretta, ritrasmessi senza sosta, hanno sconvolto l’opinione pubblica mondiale. Aerei di linea, costruiti per avvicinare i popoli, utilizzati come strumenti di morte; la superpotenza americana, che credevamo invincibile, colpita al cuore; il World Trade Center, complesso architettonico universalmente conosciuto, crollato in pochi minuti. Tuttavia quegli attentati non hanno modificato l’assetto mondiale, ossia gli equilibri e gli spartiacque tra le grandi potenze. Se gli Stati Uniti sono stati colpiti sul loro stesso territorio come non era mai capitato prima, non ne sono tuttavia usciti indeboliti.
I ruoli di Europa, Russia, Giappone, India, Cina e di altre nazioni sono senza dubbio cresciuti nel corso degli ultimi dieci anni, ma non a causa degli attentati. Il terrorismo esisteva anche prima dell’11 settembre, e le grandi sfide mondiali sono rimaste le stesse.
Verso un nuovo assetto mondiale
L’ultima grande frattura strategica storica, simboleggiata dalla caduta del muro di Berlino, ha segnato la fine del mondo bipolare che aveva condizionato le relazioni internazionali sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Da allora l’Europa vive in una fase di ricomposizione che non si è ancora completata. Questo processo, nato già da diversi anni, continua a cambiare ogni giorno, in modo impercettibile ma profondo, la configurazione delle relazioni internazionali. Non modifica un assetto mondiale che è esistito per cinquant’anni, come il mondo bipolare, bensì un ordine vecchio cinque secoli. Stiamo infatti assistendo alla fine della dominazione del mondo da parte degli occidentali, alla fine del monopolio del potere che l’Occidente ha avuto dalla fine del XV secolo.
Da allora e da quelle che in modo occidental-centrico sono state chiamate «le grandi scoperte», il mondo occidentale ha dominato la Terra imponendo la propria legge alle altre popolazioni, e spesso ne ha conquistato i territori per trarne profitto. Ha utilizzato la sua superiorità militare per sottomettere altri popoli e sfruttarne le ricchezze. Lo ha fatto cinicamente, pulendosi la coscienza con la teorizzazione dell’inferiorità degli altri popoli (gli amerindi hanno un’anima? non esiste una missione civilizzatrice per i popoli africani?) La carta geografica del mondo all’inizio del XX secolo racconta la dominazione occidentale: quasi tutto il globo era del colore dell’Europa; l’America era indipendente, ma da un punto di vista politico e culturale si sentiva vicina al Vecchio continente; in Africa c’erano soltanto due Stati indipendenti (la Liberia e l’Etiopia); la Cina era sottomessa al regime delle concessioni, mentre la maggior parte dell’Asia apparteneva all’Europa. Le due guerre mondiali in cui l’Europa trascinò il resto del pianeta hanno messo fine alla supremazia del Vecchio continente, sostituito dagli Stati Uniti, prolungando così l’egemonia occidentale.
È proprio quell’assetto vecchio di cinque secoli che sta per essere trasformato fino a scomparire. Non si tratta tanto del declino del mondo occidentale, quanto dell’ascesa al potere di altre nazioni. Non esiste più il Terzo mondo, né la divisione nordsud. Una cinquantina di Stati in ginocchio affonda nel caos, nella miseria e nell’assenza di un’autorità governativa: da Haiti all’Afghanistan passando per la Somalia, lo Zimbabwe, la Repubblica Democratica del Congo… Ma ci sono anche i Paesi emergenti, che non possono essere ridotti soltanto a quelli indicati con il termine Bric.(vedi nota 4)
Nel mondo esistono infatti una sessantina di Paesi emergenti che sono caratterizzati da una forte crescita economica e non hanno più intenzione di lasciare che gli occidentali dicano loro come comportarsi. Queste nazioni desiderano avere un ruolo più attivo ed essere interpellate sulla struttura dell’assetto internazionale, proprio come i Bric, colossi demografici ed economici. Indonesia e Malesia, Messico, Argentina, Cile e Sudafrica, Ghana, Thailandia, Vietnam, Turchia e decine di altri Paesi stanno vivendo una rapida espansione, vedono i propri governi affermarsi politicamente e pretendono un’autonomia decisionale. L’epoca in cui gli occidentali potevano decidere l’agenda internazionale e imporre le proprie regole alle altre nazioni è conclusa. Quella in atto è una vera rivoluzione strategica, che a piccoli passi cambia il mondo.
Soddisfazione o «irritazione», reazioni dell’Occidente
Il fondamentale cambio di paradigma dell’assetto internazionale e la messa in discussione del ruolo di superiorità cui erano abituati da tanto tempo possono portare gli occidentali a due atteggiamenti completamente diversi. Il primo, pragmatico e aperto, equivale a constatare che in questa situazione non c’è niente di strano né di sconvolgente, innanzitutto perché se il mondo occidentale ha perso il monopolio del potere, non ha comunque perso il potere, che rimane ancora molto forte. La crescita degli altri non lo impoverisce, non è un fenomeno di vasi comunicanti. Il fatto che altri si arricchiscano più in fretta di noi e soprattutto che milioni di persone escano dalla miseria non deve farci disperare, al contrario! Al di là di una soddisfazione morale, possiamo trovare nuove fonti di crescita per noi stessi. Coloro che la pensano così ritengono d’altra parte che gli occidentali non abbiano il monopolio della virtù, che nel corso della storia abbiano commesso crimini contro l’umanità e che la morale che invocano sia spesso un modo scaltro per legittimare la dominazione. L’altra reazione è un atteggiamento di «irritazione», di rifiuto della nuova realtà. Coloro che potremmo chiamare gli «occidentalisti» ritengono sia normale e legittimo che il mondo occidentale continui a dominare gli altri popoli, perché secondo loro è moralmente superiore. È di fatto un sentimento coloniale modernizzato. L’ascesa al potere degli altri popoli è percepita come una minaccia grave e inaccettabile. Minaccia demografica, perché si temono i flussi migratori incontrollati e lo spettro dell’invasione; curiosamente, coloro che reclamano l’apertura delle frontiere per le merci e i capitali spesso la rifiutano se riguarda gli uomini o, per essere più precisi, vogliono controllarla e impedirla se si muove dal Sud al Nord del mondo, lasciandola libera in direzione contraria. Minaccia strategica, perché si ha paura dell’islam, che spesso porta a stigmatizzare (sulla scia dell’atmosfera che si è respirata dopo l’11 settembre) il mondo musulmano e a fare generalizzazioni (musulmani = islamici = estremisti = terroristi). Questo ha fatto sì che non ci si interrogasse sulle cause profonde per le quali alcuni musulmani sono diventati estremisti, che si dimenticasse il sostegno che in epoca sovietica venne dato ai ribelli durante la guerra in Afghanistan, che si ignorasse il modo in cui il mondo musulmano percepisce la guerra in Iraq o gli scandali legati alle carceri di Guantánamo e di Abu Ghraib: guerre illegali, mancata osservanza del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo. L’impiego del termine «crociata» – benché presentata come necessaria alla libertà – non ha placato gli animi. Nel momento di massima presenza militare americana in Iraq, in proporzione, c’erano nel mondo musulmano ventidue volte più soldati occidentali che all’epoca delle crociate. Infine minaccia economica, per timore delle dislocazioni (che pure sono decise dal mondo occidentale) e dell’importazione massiva di prodotti economici.
Di fronte alla prospettiva di una situazione diventata incontrollabile, la paura dell’altro funge da riflessione politica. Si cerca conforto nell’autopersuasione, affermando (e finendo per convincersi) che la nostra civiltà è superiore, che siamo noi a incarnare la democrazia e i diritti dell’uomo. Il massacro degli amerindi dell’America Latina e del Nord America, la colonizzazione, la schiavitù (sebbene quest’ultima non sia stata una prerogativa degli occidentali) e il genocidio di zingari e armeni potrebbero renderci più modesti. Va detto che gli Stati Uniti hanno un museo della Shoah, ossia del genocidio degli ebrei commesso dagli europei, ma non possiedono musei sul genocidio degli amerindi perpetrato dagli americani.
Secondo gli occidentalisti, quindi, abbiamo il dovere di difenderci da Paesi che non hanno il nostro stesso sistema politico, un sistema che dovremmo persino cercare di esportare in quelle nazioni, in ragione della nostra superiorità strategica (almeno per il momento). Per alcuni è invitante utilizzare quella «superiorità» in nome della difesa dei diritti dell’uomo contro gli Stati che – si presume – non li rispettano, ma che hanno soprattutto la caratteristica di essere più deboli di noi e di non essere nostri alleati. Viene allora presentata come una causa di interesse generale (difesa della democrazia, difesa della civiltà) quella che altro non è che una tradizionale politica di potere. I neoconservatori americani, al di là delle menzogne sulle armi di distruzione di massa che si sarebbero dovute trovare in Iraq, hanno presentato la guerra contro quel Paese come un’impresa che avrebbe portato la libertà agli iracheni. Sebbene abbiano cercato di giustificare con buoni propositi una politica di forza che in passato sarebbe stata giudicata aggressiva, è tuttavia allettante denunciare (per ragioni diverse) i Paesi emergenti che hanno la sfrontatezza di volere diritti equiparabili ai nostri e che, soprattutto, non vogliono più piegarsi al nostro volere, non accettano più di ricevere ordini dalle potenze occidentali e rifiutano che queste ultime stabiliscano le loro regole di comportamento. La democrazia può essere costruita soltanto all’interno di una nazione. Non la si esporta, meno che mai con la guerra. Al giorno d’oggi è meglio vivere in Tunisia o in Iraq?
Smettiamo di pensare di essere superiori. Smettiamo di considerare la differenza un’inferiorità. È legittimo che gli altri popoli aspirino allo sviluppo economico, alla democrazia. Conosciamo tutti la famosa battuta: «Il problema delle relazioni internazionali è che ci sono troppi stranieri». Quando ho scritto insieme a Hubert Védrine l’Atlas du monde global, abbiamo pensato di dedicare una parte del libro al tema «il mondo visto da». Se gli altri non la pensano come noi non è perché sono meno virtuosi o intelligenti, hanno semplicemente una storia diversa dalla nostra. Non si tratta di cedere alle pretese altrui, ma di capire perché abbiamo percezioni differenti. Riflettere sull’altro e conoscerne il punto di vista dovrebbe essere il primo pensiero di ogni persona che opera nelle relazioni internazionali.


Note
1 Armand Colin, Parigi 2006 [N.d.T.].
2 Tra i suoi libri Verso la quarta guerra mondiale, Mimesis, Milano-Udine 2011; La terra è rotonda come un pallone. Geopolitica del calcio, Il Minotauro, Roma 2004 [N.d.T.].
3 Centro di ricerca fondato nel 1991, che si occupa di questioni strategiche, geopolitiche e internazionali [N.d.T.].
4 Acronimo formato dalle iniziali dei più grandi e promettenti Paesi in via di sviluppo: Brasile, Russia, India e Cina, cui di recente si è aggiunto il Sudafrica [N.d.T.].

                                                       Domande


1. Secondo l'autore quale evento ha modificato l'assetto mondiale?
2. Dopo questo evento che cosa si sta verificando?
3. Dopo la scoperta dell'America che cosa ha fatto il mondo occidentale?
4. A che cosa è servita la "teorizzazione dell'inferiorità degli altri popoli"?
5. Che cosa significa Bric?
6. Quanti e quali sono i principali paesi emergenti?
7. Quali sono i due atteggiamenti degli "occidentali" di fronte al cambiamento in atto?
8. Quali minacce provenienti dagli "altri popoli" temono gli "occidentalisti"?
9. Cosa pensa l'autore delle guerre che l'Occidente fa per esportare la democrazia e la libertà, a quale recente guerra fa riferimento?
10. Scegli una frase che ti sembra particolarmente importante.

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