07 aprile 2015

Scegliere un mondo plurale di Tzvetan Todorov in Per l'uguaglianza di L.Thuram


 
Keith Haring

Quando vivevo a Barcellona frequentavo spessissimo il Centre de Cultura Contemporània, dove seguivo con interesse mostre, congressi e dibattiti. Dopo aver assistito a un intervento di Tzvetan Todorov decisi di incontrarlo e di leggere i suoi saggi, tra cui Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico,1 che annovero tra i miei testi di riferimento. L’analisi critica di quanto ci ha lasciato il Novecento e la riflessione sulla necessità di ricordare che questo secolo ci ha imposto mi sembrano fondamentali. La storia, il passato, sono spesso semplificati, e talvolta notizie false vengono veicolate al servizio di motivazioni oscure che Todorov porta alla luce per analizzarne le ragioni, le conseguenze e le complicazioni. L’umiltà e la calma di Tzvetan Todorov ci portano ad ascoltarlo rapiti mentre ci racconta il mondo, per quanto oscuro e terribile sia.


La pluralità umana è un dato irriducibile di ogni società. Ma questa pluralità assume forme diverse a seconda dell’aspetto della nostra esistenza che si decide di esaminare: fisico, culturale o politico.
Partiamo dalla pluralità fisica: da tempo i biologi hanno messo in discussione il concetto di razza umana, dimostrando che le differenze fisiche esistenti non permettono di definire gruppi umani unici e omogenei. Inoltre i popoli si sono mescolati da tempo immemore. Il colore della pelle, in base al quale le persone di solito identificano le «razze», dipende semplicemente dall’esposizione di centinaia di migliaia di generazioni ai raggi solari. E malgrado gli sforzi delle persone razziste, nessuno ha mai potuto dimostrare che alle differenze fisiche corrispondano necessariamente differenze mentali. L’assenza di fondamento scientifico non ci impedisce tuttavia di continuare a parlare di «bianchi», «neri» e «asiatici». Continuiamo con le classificazioni, e le differenze fisiche ci forniscono la strada più semplice per teorizzarle.
Il riflesso della classificazione fisica
Se le razze sono una fantasticheria, i pregiudizi a esse collegati sopravvivono e sono diffusi in ogni società. Oggi tendiamo a pensare al razzismo dei «bianchi», ma in realtà è una tendenza universale.
Pensiamo al Discorso sul colonialismo, nel quale Aimé Césaire critica aspramente – e a ragione – i pregiudizi verso i neri. Diventa più difficile seguire il suo ragionamento quando, parlando dei Paesi colonizzati, afferma: «Erano società fondamentalmente democratiche», o quando, evocando i popoli africani, dichiara: «Faccio sistematicamente l’apologia delle nostre antiche civiltà negre: erano civiltà cortesi», come se la qualità del comportamento dipendesse dal colore della pelle. Lo stesso accade per ciò che ha affermato nel 1986 il grande scrittore nigeriano Wole Soyinka quando, ritirando il premio Nobel per la letteratura, disse che le società africane «non si sono mai abbandonate alla guerra in nome della religione. La razza nera non ha mai cercato di assoggettare o di convertire gli altri con la forza, spinta da uno zelo evangelizzatore fondato sulla convinzione di detenere la verità suprema». Sfortunatamente, tutte le società umane hanno dato vita a guerre in nome del potere, con o senza un pretesto religioso. Tutte hanno attaccato le società più deboli. Certo, quel genere di discorso può avere un’utilità effimera, può creare un mito – come quello della Francia resistente, inventato da De Gaulle all’indomani della seconda guerra mondiale perché il Paese ritrovasse la propria identità –, ma non corrisponde alla verità storica.
Negli anni del primo dopoguerra lo scrittore Romain Gary reagisce con grande acume a un problema simile. Non vuole che solo il razzismo dei nazisti venga stigmatizzato, dimenticando che l’esercito americano e, più in generale, gli Stati Uniti erano caratterizzati da una legislazione e da pratiche razziste. Fino all’inizio delle lotte per i diritti civili degli anni Sessanta, i neri erano fortemente discriminati. Ma quelle azioni non sono una prerogativa dei bianchi; Gary scrive: «I generali con la pelle nera o gialla, dentro i blindati, nei loro palazzi o dietro le mitragliatrici, per tanto tempo hanno seguito la lezione dei padroni. Dal Congo al Vietnam, praticavano i riti più oscuri dei popoli civilizzati: assoggettare, torturare e opprimere in nome della libertà, del progresso e della fede».2 Per fare un esempio più vicino a noi, in tanti ci siamo rallegrati della vittoria di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti. Ma le sue origini afroamericane non hanno modificato in maniera sostanziale le decisioni che ha preso: in Afghanistan ha portato avanti la stessa politica imperiale che il suo Paese aveva sempre condotto e ha reso comune la pratica dell’assassinio mirato dei nemici degli Stati Uniti…
La polifonia di ogni società
La seconda pluralità è di natura culturale, e le sue conseguenze sono ben più definite di quelle delle differenze fisiche.
La cultura è un insieme di regole di vita proprie di un determinato gruppo umano. Avere una cultura fa parte della natura dell’uomo. Il bambino non nasce in un contesto indistinto, ma in una famiglia e una società che saranno responsabili di gran parte delle sue caratteristiche. La più evidente è che entrerà a far parte dell’umanità parlando una determinata lingua, e le lingue influenzano il nostro modo di percepire e pensare il mondo. Ma la differenza di lingua non è certo l’unica: persino una società monolingue non è perfettamente omogenea.
La parola «cultura» non corrisponde soltanto a origini o a lingue diverse, o a modi diversi di vestirsi e di mangiare, ma a tutto ciò che appartiene al codice comune di un gruppo e lo distingue dagli altri. Anche all’interno della stessa società, i giovani e i vecchi non si comportano allo stesso modo, benché s’intendano al volo perché la loro condizione è simile. Non ci si aspetta che uomini e donne si conformino agli stessi modelli di comportamento: gli uomini rivendicano la virilità, a differenza delle donne, che privilegiano la tenerezza. I maschi provano persino vergogna nel mostrarsi troppo sensibili, o nel piangere. «Sii uomo, figlio mio», si dice. Neanche i ricchi e i poveri condividono la stessa cultura, e nemmeno le persone istruite e quelle illetterate. Ogni società è un coro di voci, c’è sempre un’interazione, un compromesso, una negoziazione tra culture diverse. Non esiste una società monocorde.
Inizialmente i gruppi umani, come forse tutte le specie animali, almeno per un certo periodo di tempo hanno diffidato degli estranei. Ma ben presto si sono resi conto che quella diffidenza aveva anche conseguenze negative, e hanno cercato di rimediare, inventando ciò che gli antropologi chiamano esogamia: un’usanza secondo cui ci si sposa con membri di tribù o di clan diversi, circostanza che permette di evitare i conflitti con i gruppi vicini.
È solo in seguito, con la nascita degli Stati, che ci si è resi conto che la mescolanza tra popolazioni e l’apertura agli altri aveva effetti positivi. All’epoca l’Europa era abitata da popolazioni estremamente diverse le une dalle altre a causa delle condizioni geografiche del continente.
Le popolazioni hanno cominciato a incontrarsi e frequentarsi, a prosperare grazie a quegli incontri. Dopo essere stata a lungo fonte di conflitti sanguinosi, un giorno quella varietà è diventata motivo di progresso, un’apertura all’altro. Successivamente le popolazioni europee hanno avuto la possibilità di assorbire le influenze provenienti dall’Egitto, dalla Mesopotamia, dal mondo arabo, dall’Africa nera e dall’Estremo Oriente. L’Europa è diventata così un crocevia, un luogo caratterizzato dalla pluralità di culture. Probabilmente questa è una delle ragioni per cui in futuro sarebbe riuscita a conquistare il resto del mondo!
Un Paese ha tutto da guadagnare dalla varietà culturale: come dimostra la storia, quando uno Stato cerca di isolarsi, si condanna alla stagnazione. Pensiamo alla Cina: all’inizio del XV secolo la dinastia Ming decise di interrompere i contatti con l’esterno, di distruggere gli orologi astronomici, di bruciare le mappe geografiche del resto del mondo e di smettere di costruire navi che consentissero viaggi in luoghi lontani. L’imperatore era convinto di agire per il bene del Paese, ma in quel modo ne ostacolò il progresso tecnologico e lo sviluppo politico e culturale. Per secoli la Cina è stata in balìa degli attacchi delle potenze straniere. È soltanto da una ventina d’anni che la sua apertura al mondo rimedia in modo efficace al ritardo accumulato in tanti settori.
In tempi più recenti la pluralità delle culture è stata evocata nel dibattito sul multiculturalismo. Molti capi di governo europei si sono dichiarati ostili a questo fenomeno.
In Germania, nell’ottobre del 2010 Angela Merkel ha dichiarato che il «Multikulti» era un fallimento, e il primo ministro britannico David Cameron ha affermato lo stesso concetto. Anche l’allora presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy si è dichiarato pienamente d’accordo, asserendo che il multiculturalismo «è all’origine di molti dei problemi della nostra società». Eppure al mondo non esistono – né sono mai esistite – società composte esclusivamente da persone appartenenti alla stessa cultura.
Affermare di essere contro la pluralità culturale equivale a dire che si è contro l’umanità, a meno che non si intenda la parola in senso diverso, non sociologico ma politico, come scelta deliberata di agire in funzione della separazione delle culture, di organizzare la società in modo che si creino gruppi distinti. Paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti avevano effettivamente fatto una scelta simile, ma poi hanno cambiato idea, mentre nell’Europa continentale politiche simili non sono mai state praticate con regolarità. È vero tuttavia che, accanto a questa pluralità inevitabile, ogni società deve favorire l’esistenza di elementi comuni. Esiste un codice culturale che facilita la partecipazione di tutti alla vita collettiva. Padroneggiare la lingua, saper interpretare un comportamento, conoscere gli elementi fondamentali della storia del Paese, la sua geografia e le leggi principali sono condizioni necessarie alla vita sociale. Se non si conosce questo contesto comune, ci si sente esclusi dalla società in cui si vive.
Quando sostengo che bisogna conoscere un po’ di storia non intendo dire che si deve glorificare la propria patria, né ridurre il passato a una storia di vincitori e vinti, di buoni e cattivi. Tedeschi e francesi hanno cercato di scrivere un manuale comune di storia del XX secolo, tenendo conto dei punti di vista dell’uno e dell’altro. Questa giustapposizione narrata in modo semplice e ponderato è importante, ma ci sono molti altri momenti storici che meriterebbero di essere chiariti da un confronto simile. Pensiamo alla guerra d’Algeria o, per fare un esempio meno recente, alle guerre di conquista napoleoniche, che i Paesi invasi interpretano in modo completamente diverso rispetto alla Francia. Gli spagnoli hanno assistito per cinque anni al massacro della popolazione per mano dell’esercito di Napoleone; sarebbe utile per i giovani francesi (di ogni origine) familiarizzare con quel punto di vista complementare.
Non è mai facile porsi queste domande, perché la reazione immediata consiste nell’identificarsi con la comunità, con la fratria,3 con il gruppo cui si sente di appartenere. Tutti tendiamo a comportarci così: vediamo spontaneamente il male negli altri, non in noi stessi, e facciamo fatica a concedere delle attenuanti, a metterci al loro posto. Eppure è importante non escludere se stessi da ciò che si denuncia.
Voglio ricordare l’esempio di Germaine Tillion, storica ed etnologa. Quando lasciò il campo di Ravensbrück, dov’era stata deportata, era pronta ad attribuire quella catastrofe alla nazionalità del carnefice, indignata da ciò che aveva vissuto: i tedeschi erano dei mostri! All’indomani della guerra molti erano convinti che tutti i tedeschi fossero nazisti. Ma quando Germaine Tillion divenne una storica, a poco a poco si rese conto che quei comportamenti deplorevoli non erano specificamente tedeschi. Nel 1954, nella guerra d’Algeria, scoprì le pratiche di tortura adottate da alcuni ufficiali dell’esercito francese, figli della Liberazione ed ex eroi della Resistenza. Proprio coloro che avevano lottato per la democrazia, contro la violenza e l’oppressione, reprimevano senza pietà la rivolta algerina. Ecco una lezione di storia che la nostra educazione comune dovrebbe avere il coraggio di insegnare a tutti.
Il pluralismo politico
La terza forma di pluralità, il pluralismo politico, è quella che oppone nel modo più evidente la democrazia al totalitarismo. Si manifesta con la separazione del potere esecutivo, legislativo e giudiziario, ma anche economico e mediatico. Tuttavia bisogna restare vigili anche quando c’è democrazia, perché la tendenza all’unificazione tipica dei regimi totalitari è tuttora tangibile. Il pluralismo politico richiede un impegno quotidiano. Per constatarlo è sufficiente ricordare i diversi casi giudiziari in cui il potere ha tentato di aggirare le regole della giustizia, mentre l’indipendenza di quest’ultima è uno dei pilastri della democrazia. O ancora, vedere in che modo il potere economico cerca di assoggettare quello politico. Una confusione dei poteri in un’unica oligarchia ostacolerebbe invece l’autonomia del potere politico, l’unico ad avere una legittimità democratica.
Il pluralismo è necessario anche nelle relazioni internazionali. L’egemonia dei colossi occidentali (Stati Uniti ed Europa) è potenzialmente pericolosa per la facilità con cui questi Paesi finiscono per credersi l’incarnazione del bene, arrogandosi il diritto di intervenire militarmente in qualunque Stato, con conseguenze imprevedibili. L’intervento americano in Iraq, giustificato con la supposta presenza di armi di distruzione di massa – che si è rivelata un’invenzione –, ha causato la morte di un numero di persone stimato tra cinquecentomila e un milione. Vivere in un mondo multipolare, fatto di schieramenti regionali che fanno da contrappeso alla tentazione egemonica di un unico Paese, è preferibile, tuttavia non rappresenta un rimedio universale. Il potere crescente di Stati come il Brasile, l’India o il Sudafrica va in quella direzione. Ma quando si diventa i più forti non è facile accettare che la pluralità valga più dell’unità!
1 Garzanti, Milano 2004 [N.d.T.].
2 Les mangeurs d’étoiles, Gallimard, Parigi 2013.
3 Nell’antica Grecia, entità sociale comprendente gruppi familiari discendenti da un capostipite comune, con un proprio culto, un sacerdote e un capo annuale [N.d.T.].

Le domande :
  1. Quali sono le forme della pluralità esaminate da Todorov ?
    La pluralità umana è un dato irriducibile di ogni società. Ma questa pluralità assume forme diverse a seconda dell’aspetto della nostra esistenza che si decide di esaminare: fisico, culturale o politico.
  2. Come è stato messo in discussione il concetto di razza umana ? (individuare tre fatti) ?
    Da tempo i biologi hanno messo in discussione il concetto di razza umana, dimostrando che le differenze fisiche esistenti non permettono di definire gruppi umani unici e omogenei. Inoltre i popoli si sono mescolati da tempo immemore. Il colore della pelle, in base al quale le persone di solito identificano le «razze», dipende semplicemente dall’esposizione di centinaia di migliaia di generazioni ai raggi solari. E malgrado gli sforzi delle persone razziste, nessuno ha mai potuto dimostrare che alle differenze fisiche corrispondano necessariamente differenze mentali.
  3. Che cosa significa l’espressione il razzismo è "una tendenza universale" ? (inserisci due esempi nella tua spiegazione)
    Sfortunatamente, tutte le società umane hanno dato vita a guerre in nome del potere, con o senza un pretesto religioso. Tutte hanno attaccato le società più deboli. (...)  Non vuole che solo il razzismo dei nazisti venga stigmatizzato, dimenticando che l’esercito americano e, più in generale, gli Stati Uniti erano caratterizzati da una legislazione e da pratiche razziste. Gary scrive: «I generali con la pelle nera o gialla, dentro i blindati, nei loro palazzi o dietro le mitragliatrici, per tanto tempo hanno seguito la lezione dei padroni. Dal Congo al Vietnam, praticavano i riti più oscuri dei popoli civilizzati: assoggettare, torturare e opprimere in nome della libertà, del progresso e della fede».
  4. Individua e trascrivi la definizione che T. dà di "cultura"
    La cultura è un insieme di regole di vita proprie di un determinato gruppo umano. Avere una cultura fa parte della natura dell’uomo. Cultura è ciò che produce l'uomo e non è natura.
  5. Che cosa significa "Non esiste una società monocorde"?
    Ogni società è un coro di voci, c’è sempre un’interazione, un compromesso, una negoziazione tra culture diverse.
  6. Che cos’è l’esogamia ? Perché è stata importante nella storia dell’uomo ?
    Gli uomini si sono resi conto che la diffidenza aveva anche conseguenze negative, e hanno cercato di rimediare, inventando ciò che gli antropologi chiamano esogamia: un’usanza secondo cui ci si sposa con membri di tribù o di clan diversi, circostanza che permette di evitare i conflitti con i gruppi vicini.
  7. Incontrarsi, frequentarsi è un vantaggio o uno svantaggio ? Spiega perché ? Che cosa è successo alla Cina ?
    Le popolazioni hanno cominciato a incontrarsi e frequentarsi, a prosperare grazie a quegli incontri. Dopo essere stata a lungo fonte di conflitti sanguinosi, un giorno quella varietà è diventata motivo di progresso, un’apertura all’altro. (...)L’Europa è diventata così un crocevia, un luogo caratterizzato dalla pluralità di culture. Probabilmente questa è una delle ragioni per cui in futuro sarebbe riuscita a conquistare il resto del mondo!
  8. Quali capi di stato hanno espresso un giudizio negativo sul multiculturalismo ? Che cosa risponde T. a questi giudizi.
    Angela Merkel, David Cameron, Nicolas Sarkozy .  Eppure al mondo non esistono – né sono mai esistite – società composte esclusivamente da persone appartenenti alla stessa cultura.
  9. Che cosa deve favorire la società accanto alla pluralità culturale? Quali sono secondo T. gli elementi fondamentali per sentirsi parte della società in cui si vive ?
    È vero tuttavia che, accanto a questa pluralità inevitabile, ogni società deve favorire l’esistenza di elementi comuni. Esiste un codice culturale che facilita la partecipazione di tutti alla vita collettiva. Padroneggiare la lingua, saper interpretare un comportamento, conoscere gli elementi fondamentali della storia del Paese, la sua geografia e le leggi principali sono condizioni necessarie alla vita sociale. Se non si conosce questo contesto comune, ci si sente esclusi dalla società in cui si vive.
  10. Perché è importante conoscere la propria storia secondo T. ?
    Perché la storia ci fa conoscere  i nostri errori e ci impedisce di giudicare gli altri pensando di essere migliori di tutti. "Tutti tendiamo a comportarci così: vediamo spontaneamente il male negli altri, non in noi stessi, e facciamo fatica a concedere delle attenuanti, a metterci al loro posto. Eppure è importante non escludere se stessi da ciò che si denuncia."
  11. Spiega che cosa significa che la pluralità politica è quella che oppone nel modo più evidente la democrazia al totalitarismo.
    La terza forma di pluralità, il pluralismo politico, è quella che oppone nel modo più evidente la democrazia al totalitarismo. Si manifesta con la separazione del potere esecutivo, legislativo e giudiziario, ma anche economico e mediatico. Se non ci fosse pluralità politica vivremmo sotto una dittatura.
  12. Perché il pluralismo politico richiede un impegno quotidiano ?
    Tuttavia bisogna restare vigili anche quando c’è democrazia, perché la tendenza all’unificazione tipica dei regimi totalitari è tuttora tangibile. Il pluralismo politico richiede un impegno quotidiano. Per constatarlo è sufficiente ricordare i diversi casi giudiziari in cui il potere ha tentato di aggirare le regole della giustizia, mentre l’indipendenza di quest’ultima è uno dei pilastri della democrazia. O ancora, vedere in che modo il potere economico cerca di assoggettare quello politico. Una confusione dei poteri in un’unica oligarchia ostacolerebbe invece l’autonomia del potere politico, l’unico ad avere una legittimità democratica.


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