31 marzo 2015

Per l'uguaglianza: Rovesciare il mondo.

Rovesciare il mondo
Ho sempre sentito il bisogno di ampliare i miei orizzonti, e questo ben prima che decidessi di concludere la mia carriera di calciatore. Da bambino adoravo le cartine e le mappe geografiche; sognavo che mi regalassero un mappamondo. Mi affascinava – e continua ad affascinarmi – l’idea che vivessimo insieme su quel globo, su quel mondo dallo spazio circoscritto, e che formassimo un tutt’uno. Non a caso, nel libro Le mie stelle nere e all’interno del programma multimediale Nous Autres. Éducation contre le racisme, uno strumento pedagogico pensato per i bambini delle scuole elementari, ho voluto che fosse riprodotta la carta disegnata dal geografo australiano Stuart Mac Arthur, che non ha collocato il suo Paese in basso e in posizione decentrata, come è di solito nelle mappe tradizionali usate in Europa, ma in alto, al centro del mondo, restituendo così la visione che ne hanno gli abitanti dell’Oceania.
Collocare l’Europa in alto, a Nord, e farla apparire molto più estesa dell’America Latina (quando è grande soltanto la metà) è una rappresentazione che di fatto condiziona la nostra visione del mondo e il nostro modo di imparare a conoscerlo. Ma certo non limita la mia curiosità: poter incontrare coloro che del mondo hanno una conoscenza specifica – storici, sociologi, linguisti, scienziati, antropologi –, fare loro domande e riuscire a creare legami tra i diversi argomenti affrontati è un’opportunità per comprenderne e conoscerne meglio la complessità, e a ogni incontro, a ogni dialogo mi sono reso conto dell’importanza e della fortuna di tale possibilità. E quanto a coloro che non ho potuto conoscere, come Claude Lévi-Strauss o Le Corbusier, ne ascolto le conferenze su Cd o ne leggo le opere. I libri sono stati determinanti nella mia formazione. E lo sono ancora. Ai romanzi preferisco i saggi, i libri di filosofia o di storia.
Quando giocavo a calcio e trascorrevo qualche giorno a Parigi, andavo spesso alla libreria Présence africaine, in rue des Écoles. La signora Diop mi consigliava nelle mie letture sulla schiavitù o la colonizzazione. È stata lei a farmi conoscere il libro Pelle nera, maschere bianche1 di Frantz Fanon (pubblicato nel 1952), che ho letto molte volte. Ed è stato sempre in quella libreria che ho scoperto il Discorso sul colonialismo2 (uscito nel 1950), seguito dal Discorso sulla negritudine3 (del 1987), di Aimé Césaire, che poi ho fatto leggere a mia madre. Queste letture sono state fondamentali, proprio come lo è stato, in modo diverso, il libro di Eduardo Galeano, A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia,4 del quale a ogni pagina ho apprezzato l’umorismo pungente sulle incoerenze della nostra società. Potrei citare altri libri altrettanto importanti, come La tranquillità dell’animo5 di Seneca, Il profeta6 di Khalil Gibran o Sulla libertà7 di Jiddu Krish namurti. Torno spesso in quella libreria, come se mi guardassi in uno specchio, non per narcisismo, ma per ritornare a ciò che sono e a ciò che faccio. Siamo esseri complessi, e talvolta siamo costretti a scendere a patti con noi stessi. È difficile avere il coraggio di analizzare le proprie azioni e i propri pensieri, giudicarsi, criticarsi. Non piace a nessuno riconoscere le proprie debolezze. Si tende a fuggire, a mentire a se stessi, anche se in realtà non lo si può mai fare davvero. Non si può sfuggire a se stessi, né ai propri sogni…
Forse non tutti lo ammettono, ma ognuno di noi ha un sogno. Bisogna semplicemente trovare le persone che ci incoraggino a perseguirlo. La fondazione che ho creato nel 2008, Lilian Thuram, Éducation contre le racisme, è nata proprio dall’incontro con persone speciali e grazie a loro continua a consolidarsi, sostenuta da persone straordinarie che fanno parte del Casden (Banque coopérative des personnels de l’Éducation, de la Recherche et de la Culture), della Mgen (Mutuelle générale de l’Éducation nationale), della fondazione dell’FC Barcelona e del Consiglio generale della Senna e Marna. Senza questi uomini e queste donne niente sarebbe stato possibile.
La storia di come è nata la Fondazione rivela la loro importanza. All’epoca giocavo nel Barcellona. Stavo cenando da Pascal Brice, l’allora console francese nella città catalana, e accanto a me era seduto Juan Campmany, il direttore dell’agenzia di comunicazione DDB. Stavamo chiacchierando, quando a un tratto mi ha chiesto cosa volessi fare una volta che avessi smesso di giocare a calcio. «Voglio cambiare il mondo!», ho detto. Una risposta spontanea che lo ha fatto sorridere. «E come?» Gli ho parlato del razzismo, dell’educazione e del condizionamento da cui nasce, e della necessità di cambiare le mentalità a partire da un’altra visione della Storia, da altri punti di riferimento, da altre prospettive. Mi sembra di sentire ancora la sua risposta: «Buona fortuna. Lei è giovane, ma sappia che il mondo non si può cambiare». Una settimana dopo mi ha telefonato, proponendomi di pranzare insieme. «Ho pensato alla sua idea di cambiare le mentalità della gente; non sarà facile, ma ne ha già convinto uno: me. Le consiglio di creare una fondazione.» E così, qualche mese dopo, la Fondazione è nata, con tanto di logo (che ha vinto un premio in Spagna) e lo slogan «Tous parents, tous différents» (tutti parenti, tutti differenti), scelto dopo aver visto l’omonima mostra al Musée de l’Homme di Parigi. Juan Campmany e Rafael Vila San Juan ne sono i vicepresidenti, e Lionel Gauthier, il perno dell’intera struttura, il direttore.
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Il motivo per cui esiste la Fondazione è riflettere insieme su come educare bambini e adulti contro il razzismo, demolire quella costruzione intellettuale e i pregiudizi che ha generato.
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La pubblicazione de Le mie stelle nere e la creazione del Dvd Nous autres (per le scuole) sono stati i primi passi della Fondazione. La mostra al museo del quai Branly intitolata Exhibitions, l’invention du sauvage (2011-2012), sugli zoo umani che si diffusero in Occidente nel XIX e nella prima metà del XX secolo, e la recente pubblicazione di Notre histoire (un libro a fumetti in cui racconto la mia vita e quella di alcune delle mie stelle nere), si inscrivono nella stessa volontà di ampliare e arricchire il sapere, per superare alcune credenze e decostruire i nostri immaginari.
Come spiega Frantz Fanon in Pelle nera, maschere bianche: «Non sono prigioniero della Storia […]. Non c’è una missione nera, né un fardello bianco […]. Non c’è un mondo bianco, un’etica bianca, un’intelligenza bianca. In tutto il mondo ci sono esseri umani in cerca di qualcosa. Non sono prigioniero della Storia. Non devo cercare in essa il senso del mio destino».
Questa frase esprime alla perfezione ciò che afferma in altri termini il paleoantropologo Yves Coppens: abbiamo tutti la stessa origine. Siamo tutti africani, nati tre milioni di anni fa, e questo dovrebbe spingerci alla fratellanza. Tuttavia, se il razzismo avesse a che fare soltanto con l’educazione sarebbe più facile cambiare la mentalità della gente. La difficoltà sta nel fatto che si tratta anche di un’abitudine, di un riflesso inconscio.
Chi è razzista non si fa domande; pensare che l’altro sia diverso e inferiore è rassicurante, rafforza la stima che abbiamo di noi stessi. L’uguaglianza è difficile da raggiungere, perché colui o colei che si sente in una condizione di superiorità deve accettare il fatto di essere percepito e considerato come chiunque altro, e quindi fare a meno dei vantaggi che la sua condizione gli garantisce.
Alla base di quello che faccio c’è un desiderio di divulgare. Ho chiamato il mio primo figlio Marcus, in omaggio a Marcus Mosiah Garvey, uno dei padri del panafricanismo, e il secondo Khephren, in omaggio al faraone dell’antico Egitto, proprio perché avessero una visione più ampia della Storia e perché sapessero che la storia dei popoli neri non si limita alla schiavitù.
In realtà avrei voluto che uno dei miei figli si chiamasse Malcolm, ma di fronte alle reazioni che quel nome ha suscitato nei miei famigliari, ho lasciato perdere. Per loro Malcolm era il cattivo, il violento. Se un nome porta con sé un’eco così potente, è facile immaginare le reazioni che possono provocare il genere, il colore della pelle o l’appartenenza a un continente piuttosto che a un altro.
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Ogni cambiamento, si sa, avviene in modo graduale. Ogni generazione deve fare un passo. Non bisogna aspettarsi risultati immediati, ma agire nel nostro tempo. Sono tante le persone che, oggi come in passato, vorrebbero migliorare la società; sono ben più numerose di quanto si creda. L’essere umano è portato a prendersi cura dell’altro.
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Se vediamo qualcuno che sta annegando, il nostro primo istinto è soccorrerlo. Basti pensare alle grandi catastrofi e allo slancio di generosità che ne consegue.
Non si nasce razzisti, lo si diventa. Questa verità è la chiave di volta della Fondazione, la cui nascita, al di là delle persone che ho incontrato, è anche il frutto di una serie di azioni portate avanti insieme ad Amnesty International, all’Onu e all’Unicef per ricordare che il traffico di armi, l’integrazione o le condizioni in cui vivono le popolazioni dell’Africa, di Haiti, della Palestina o dell’Occidente sono il risultato di sistemi costituiti che abbiamo il dovere di denunciare.
E tuttavia non mi sento una persona impegnata, né che porta avanti un discorso politico. Rifiuto regolarmente l’etichetta di uomo impegnato o di militante che mi si attribuisce. La lotta per l’educazione contro il razzismo è semplicemente parte di ciò che voglio fare della mia vita. In un mondo che diventa sempre più piccolo, le migrazioni dei popoli, i cambiamenti climatici e la globalizzazione riguardano tutti. Riflettere sulla storia dell’uomo e sul modo in cui viene imparata, raccontata e insegnata diventa più che mai una priorità, un dovere, se vogliamo costruire un mondo migliore.
1 Tropea, Milano 1996 [N.d.T.].
2 Ombre corte, Verona 2010 [N.d.T.].
3 Ombre corte, Verona 2010 [N.d.T.].
4 Sperling & Kupfer, Milano 1999 [N.d.T.].
5 Rizzoli, Milano 1997 [N.d.T.].
6 Piemme, Milano 2004 [N.d.T.].
7 Astrolabio Ubaldini, Roma 1996 [N.d.T.].

Le domande
1. Quale espediente usa l'uomo europeo per sentirsi al centro del mondo.
Collocare l’Europa in alto, a Nord, e farla apparire molto più estesa dell’America Latina (quando è grande soltanto la metà) è una rappresentazione che di fatto condiziona la nostra visione del mondo e il nostro modo di imparare a conoscerlo.
2. Cosa dice F.Fanon in Pelle nera, maschere bianche?
«Non sono prigioniero della Storia […]. Non c’è una missione nera, né un fardello bianco […]. Non c’è un mondo bianco, un’etica bianca, un’intelligenza bianca. In tutto il mondo ci sono esseri umani in cerca di qualcosa. Non sono prigioniero della Storia. Non devo cercare in essa il senso del mio destino».
3. È sufficiente "conoscere" secondo Thuram  per sconfiggere il razzismo.
Tuttavia, se il razzismo avesse a che fare soltanto con l’educazione sarebbe più facile cambiare la mentalità della gente. La difficoltà sta nel fatto che si tratta anche di un’abitudine, di un riflesso inconscio.
4.Secondo te Thuram è ottimista o pessimista, qual è la sua posizione nei confronti del razzismo?
Thuram è consapevole di quanto sia difficile sconfiggere il razzismo ma è ottimista pensa che sono molte le persone disposte a fare qualcosa per migliorare la società in cui viviamo. " Ogni cambiamento, si sa, avviene in modo graduale. Ogni generazione deve fare un passo. Non bisogna aspettarsi risultati immediati, ma agire nel nostro tempo. Sono tante le persone che, oggi come in passato, vorrebbero migliorare la società; sono ben più numerose di quanto si creda. L’essere umano è portato a prendersi cura dell’altro. Se vediamo qualcuno che sta annegando, il nostro primo istinto è soccorrerlo. Basti pensare alle grandi catastrofi e allo slancio di generosità che ne consegue.Non si nasce razzisti, lo si diventa."

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