11 settembre 2013

Il discorso di Menenio Agrippa alla plebe Livio, Ab urbe condita, II, 32

32 (...) Questa è la versione più accreditata. Stando invece a quella adottata da Pisone, la secessione sarebbe avvenuta sull'Aventino. Lì, senza nessuno che li guidasse, fortificarono in tutta calma il campo con fossati e palizzate limitandosi ad andare in cerca di cibo e, per alcuni giorni, non subirono attacchi né attaccarono a loro volta. Roma era nel panico più totale e il clima di mutua apprensione teneva tutto in sospeso. La plebe, abbandonata al suo destino, temeva un'azione di forza organizzata dal senato; i senatori temevano la parte di plebe rimasta in città, ed erano incerti se fosse preferibile che essa rimanesse o se ne andasse. E poi, quanto sarebbe durata la calma dei secessionisti? Che cosa sarebbe successo se nel frattempo fosse scoppiata una guerra con qualche paese straniero? La sola speranza era rappresentata dalla concordia interna: per il bene dello Stato andava restaurata e a qualunque costo. Si decise allora di mandare alla plebe come portavoce Menenio Agrippa, uomo dotato di straordinaria dialettica e ben visto per le sue origini popolari. Una volta introdotto nel campo, pare che raccontò questo apologo con lo stile un po' rozzo tipico degli antichi: "quando le membra del corpo umano non costituivano ancora un tutt'uno armonico, ma ciascuna di esse aveva un suo linguaggio e un suo modo di pensare autonomi, tutte le altre parti erano indignate di dover sgobbare a destra e a sinistra per provvedere a ogni necessità dello stomaco, mentre questo se ne stava zitto zitto lì nel mezzo a godersi il bendidio che gli veniva dato. Allora, decisero di accordarsi così: le mani non avrebbero più portato il cibo alla bocca, la bocca non si sarebbe più aperta per prenderlo, né i denti lo avrebbero più masticato. Mentre, arrabbiate, credevano di far morire di fame lo stomaco, le membra stesse e il corpo tutto eran ridotti pelle e ossa. In quel momento capirono che anche lo stomaco aveva una sua funzione e non se ne stava inoperoso: nutriva tanto quanto era nutrito e a tutte le parti del corpo restituiva, distribuito equamente per le vene e arricchito dal cibo digerito, il sangue che ci dà vita e forza". Mettendo in parallelo la ribellione interna delle parti del corpo e la rabbia della plebe nei confronti del senato, Menenio riuscì a farli ragionare.
33 (...) Venne allora affrontato il tema della riconciliazione e si giunse al seguente compromesso: la plebe avrebbe avuto dei magistrati sacri e inviolabili il cui compito sarebbe stato quello di prendere le sue difese contro i consoli, e nessun patrizio avrebbe potuto avere quest'incarico.

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