28 ottobre 2013

I PENATI

 
I Penati erano spiriti protettori che custodivano le ricchezze e le provviste delle famiglie.

I Penati nella vita domestica. - I Penati (dal lat. penus "commestibili di riserva", poi "ripostiglio delle provviste") erano le divinità che proteggevano la famiglia. Quando i romani conducevano una vita umile, i Penati erano venerati insieme a Vesta e ai Lari. Quando le case romane si ingrandirono ed ebbero più stanze, l'atrio e la cucina rimasero legati a queste divinità.
Il culto che si presta ai Penati è simile a quello prestato ai Lari.
Ad ogni pasto viene loro fatta un'offerta di sale, l'elemento che purifica e conserva, e di farro, il primo cereale che i Romani abbiano coltivato. I Penati non sono necessariamente concepiti come maschili.  Alcune iscrizioni infatti sono dedicate "deis deabus Penatibus familiaribus" (agli dei e alle dee Penati familiari) (Corp. Inscr. Lat., V, 514). Il culto dei Penati fu molto importante nella religione privata dei Romani perciò esso è rimasto immutato fino alla fine del paganesimo.

I Penati pubblici del popolo romano. - Di fianco ai Penati privati si costituirono i Penati che avevano il compito di tutelare la vita dello stato.
I Penati pubblici furono venerati nel tempio di Vesta. In seguito ebbero sulla Velia un tempio proprio di cui non è rimasta traccia, ma che doveva trovarsi sull'area dell'attuale chiesa di S. Maria Nuova. Esso conteneva le immagini di due divinità giovanili, a somiglianza dei Dioscuri, sedute, vestite alla militare e armate di lancia: figurazione richiamata anche dalla moneta di Antio Restione che ha due teste giovanili con sotto la scritta "dei Penates". Questo tempio nel 167 a. C. fu colpito dal fulmine e nel 165 le sue porte si aprirono da sole, di notte; Augusto lo restaurò. Ai Penati pubblici vennero associate le divinità protettrici di Roma.

Il culto dei Penati e la leggenda di Enea. - La connessione tra la leggenda di Enea e le origini della gente romana è collegata anche alla storia dei Penati che vengono trasportati da Enea da Troia a Lavinio e poi ad Alba Longa e a Roma e rappresentano la continuità della stirpe di Enea e la continuazione a Roma del fato di Ilio.
Enea infatti avrebbe preso con sé i Penati di Troia sotto consiglio di Ettore; i Penati gli sarebbero apparsi in sogno ammonendolo sulla rotta da tenere verso i lidi d'Italia.
L'importanza dei Penati di Lavinio oscurò quella dei Penati di Alba Longa che pure era la città madre della confederazione latina e quella dalla quale, dopo la distruzione, i Penati sarebbero stati trasportati a Roma.

La provenienza frigia dei Romani è stata molto probabilmente la causa che ha collegato i Penati di Troia in cammino verso Roma ai Cabiri di Samotracia, il cui culto ebbe diffusione a Roma all'alba dell'impero. La relazione fra i due gruppi di divinità è confermata da Tertulliano il quale afferma che nel mezzo del circo massimo v'erano tre colonne con immagini di Sessia (dea della semente), Messia (dea delle messi) e Tutilina (dea che tutela la frutta); e che davanti a queste immagini v'erano tre are dedicate rispettivamente magnis (ai grandi), potentibus (ai potenti), valentibus (ai valenti), epiteti, appunto, dei Cabiri di Samotracia, i quali sono così associati a divinità che hanno relazione con le provviste del penus.
La teologia astrale della fine del paganesimo definì i Penati come quelli "per quos penitos spiramus, per quos habemus corpus, per quos rationem animi possidemus" (per cui respiriamo profondamente, per cui abbiamo il corpo, per cui possediamo il pensiero della mente). 
Definì anche i tre numi della triade capitolina, considerati come Penati, Minerva, Giove, Giunone  rispettivamente l'etere sommo, medio e infimo.

Elaborato da: Alice Argentieri e Edna Basilio
Fonte: Penati in "Enciclopedia Italiana" - Treccani

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