28 ottobre 2013

IL RATTO DELLE SABINE



Lo storico Tito Livio, nella sua monumentale opera riguardante la storia di Roma, racconta con l’episodio celebre del Ratto delle Sabine la fusione, avvenuta in età assai antica, dell’elemento romano con quello sabino.
Romolo, dopo aver fondato Roma, si rivolge alle popolazioni vicine per stringere alleanze e ottenere delle donne con cui procreare e popolare la nuova città. Al rifiuto dei vicini risponde con l'astuzia invitando alle celebrazioni per il dio Conso le popolazioni vicine e rapendo le donne sabine intervenute alla festa. Raccontano Livio e Plutarco, che i Sabini, incuriositi dalla nuova città e vittime di eccessiva fiducia, si presentarono al completo. Quando tutti erano concentrati sui giochi, ad un preciso segnale, la gioventù romana si mise a correre all'impazzata per rapire le ragazze. Alcuni raccontano che furono rapite solo trenta fanciulle, Valerio Anziate cinquecentoventisette, Giuba II seicentottantatré, mentre Plutarco stima non fossero meno di ottocento. Una parte finiva nelle mani del primo che le catturava; altre venivano trascinate dai plebei alle case dei senatori più nobili. Si racconta che una di esse, molto più carina di tutte le altre, fu rapita dal gruppo di un certo Talasio e, poiché in molti cercavano di sapere a chi mai la stessero portando, gridarono più volte che la portavano a Talasio perché nessuno le mettesse le mani addosso. Da quell'episodio deriva l'antico grido nuziale romano. I genitori se ne andarono affranti dal dolore accusando i romani di aver violato il patto di ospitalità e invocando il dio Conso, per il quale erano state indette le celebrazioni. Ma Romolo stesso informò le giovani che ciò era avvenuto per l’arroganza dei loro padri che non avevano permesso di contrarre matrimoni. Ciò nonostante le donne sarebbero diventate loro spose e avrebbero condiviso tutti i beni, la patria, ma soprattutto i figli, cosa più cara agli esseri umani. A favore di Romolo depose il fatto che non venne rapita nessuna donna maritata, se si esclude la sola Ersilia, la quale aveva una figlia in tenera età. Seguì una guerra non dichiarata mossa dai Sabini. La leggenda narra che essi corruppero Tarpea, la figlia del guardiano del Campidoglio, con splendidi bracciali d'oro e penetrarono a Roma. Una volta entrati nella città, invece di darle i gioielli promessi seppellirono la ragazza sotto le armi. Durante l'aspra guerra tra i due popoli, le donne si gettarono tra le spade e le frecce pregando i padri sabini e i mariti romani di porre fine alla battaglia. Il gesto intenerì i soldati e i comandanti, i quali si fecero avanti per stipulare patti d'alleanza. Così i due popoli daranno origine ad un'unica grande civiltà unendo i regni e trasportando il comando direttamente a Roma. Il ratto fu spiegato da Plutarco non tanto come un gesto di superbia, ma piuttosto come atto di necessità, al fine di mescolare i due popoli.

Post di Selene Chiorlin e Michela Vernò

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