31 marzo 2014

LE DIFFICOLTÀ DEI MIGRANTI E LE "PRIGIONI DI ACCOGLIENZA"

Sarà Colognese
Alberto Fiorentino
Elia Liotta
Claudia Paparella



Abbiamo scelto l'argomento dei migranti reclusi in Libia dopo la visione del film/documentario"Come un Uomo sulla Terra". In questo lungometraggio si faceva particolare riferimento ai centri di accoglienza in Libia e al trattamento riservato ai migranti, quindi abbiamo ritenuto importante trattare questo aspetto, in quanto su giornali e blog vari non se ne parla con chiarezza.

Le Difficoltà dei Migranti: dal Corno d'Africa alla prigionia libica   



Per arrivare in Libia i migranti (prevalentemente Eritrei, Etiopi e Somali) pagano dei contrabbandieri per attraversare il deserto con delle jeep sulle quali vengono caricati a decine senza cibo e ammassati l’uno sull’altro.
Arrivati a destinazione la polizia libica, che conosce bene i contrabbandieri, sequestra delle auto e i passeggeri vengono arrestati senza un motivo specifico e rinchiusi nelle prigioni, dove possono rimanere anche per anni. Appena arrivano vengono registrati e gli viene chiesto il nome e la nazionalità. In prigione la situazione è forse peggiore di quella durante il viaggio nei container: vengono ammassati nelle celle, gli viene data una bottiglia d’acqua al giorno per lavarsi e bere, vengono picchiati e le donne spesso violentate. Molti carcerati tentano il suicidio per le pessime condizioni e le piaghe sulla pelle causate dall'eccessivo calore.


Ganfuda, Majer, Misurata, Abu Salim, al-Zawiya, Sabha... L'elenco dei campi di concentramento di migranti in Libia si allunga di mese in mese. Li chiamano centri di detenzione o strutture d'accoglienza per conferire un'inesistente dignità agli accordi politici stipulati dal 2008 ad oggi tra i governi libici e quelli italiani e di altri paesi europei.
Questi luoghi, mascherati dal nome di centri di accoglienza, sono vere e proprie prigioni, dove migranti provenienti principalmente da Somalia, Eritrea e Etiopia vengono rinchiusi senza accuse e processi. Si stima che in questi “centri” siano rinchiuse circa 6000 persone.
Ma è solo un dato indicativo. Ammassati in condizioni disumane, sottoposti a ogni genere di vessazioni, stupri e torture, per la sola colpa di avere la pelle nera in un paese diventato ormai "un enorme supermercato di armi, dove regna la confusione e la legge del più forte", non hanno diritti né voce, sono cancellati dal mondo.
C'è stato solo un modo di ascoltare le testimonianze di questi "condannati all'inferno libico": il telefono cellulare che portano con sé eludendo la sicurezza. È in questo modo che la onlus In-Migrazione ha raccolto centinaia di testimonianze in un dossier presentato nei giorni scorsi dal titolo "0021, trappola libica", dal prefisso internazionale digitato per entrare in contatto con i cellulari libici nascosti nei centri di detenzione: le testimonianze raccontano che i migranti vengono picchiati e torturati e le donne vengono stuprate.
Un uomo racconta: "Ci sono donne incinte, bambini, minori. Ce n'è uno anche qui nella nostra stanza, si chiama Mahamed.” (da "Il Manifesto", 4 Ottobre 2013)


Nel maggio del 2013 , testimonia Amnesty International, nel "centro di trattenimento" di Sabha, città centro-occidentale della Libia, si trovavano 1300 persone.
Amnesty International ha inoltre denunciato l' utilizzo di armi chimiche e punture letali per sedare le rivolte.
"Razzismo e rastrellamenti hanno subito una recrudescenza nel settembre 2012 dopo l'attacco al consolato Usa di Benghazi e nel febbraio del 2013 in occasione del secondo anno della "rivoluzione", spiega Simone Andreotti, presidente di In Migrazione Onlus. "Evitare queste morti non è impossibile” - spiega il presidente.



Nigrizia

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