J.L.David, Il giuramento degli Orazi, particolare |
Il duello tra Orazi e Curiazi (T.Livio Ab urbe condita libro I
cap.25-26)
I re di Roma e di Alba decidono, per evitare stragi e spargimenti di sangue, di affidare la soluzione della guerra tra le due città a un duello tra tre fratelli gemelli romani, gli Orazi, e tre fratelli gemelli albani, i Curiazi. Chi tra loro avesse vinto avrebbe guadagnato la vittoria per la propria città.
Nel capitolo 25 Livio racconta lo scontro tra i sei fratelli. Nel capitolo successivo l'unico superstite ritorna vittorioso in città ed è accolto dal popolo in festa. Gli viene incontro la sorella piangente perché tra i tre nemici uccisi dal fratello c'era il suo futuro marito. Senza pensarci due volte l'uomo sguaina la spada e la uccide. Non si deve piangere per il nemico e non essere felici per la vittoria della patria. Sottoposto a processo il valoroso soldato viene assolto, per la sfortunata donna viene innalzato un sepolcro di pietre là dove era stata uccisa dal fratello.
25 Concluso il trattato, i gemelli, come era stato convenuto, si armano di tutto punto. Da entrambe le parti i soldati incitavano i loro campioni. Gli ricordavano che gli dei nazionali, la patria e i genitori, e tutti i concittadini rimasti a casa e quelli lì presenti tra le fila avevano gli occhi puntati sulle loro armi e sulle loro braccia. E i fratelli, pronti allo scontro non già solo per il tipo di carattere che avevano ma esaltati dalle urla di chi li incitava, avanzano nello spazio in mezzo alle due schiere. Gli uomini di entrambi gli eserciti si erano intanto seduti di fronte ai rispettivi accampamenti, tesissimi non tanto per qualche pericolo imminente, quanto perché era in ballo la supremazia legata solo al valore e alla buona sorte di pochi di loro. Così, sul chi vive e col fiato sospeso, si concentrano sullo spettacolo non certo rilassante. Viene dato il segnale e i sei giovani, come battaglioni opposti nello scontro, si buttano allo sbaraglio con lo spirito di due eserciti interi. Né gli uni né gli altri si preoccupano del proprio pericolo, ma pensano esclusivamente alla supremazia o alla subordinazione del proprio paese e alle sorti future della patria che loro soli possono condizionare. Al primo contatto l'urto delle armi e il bagliore delle lame fecero gelare il sangue nelle vene agli spettatori i quali, visto che nessuna delle due parti aveva avuto la meglio, trattenevano muti il respiro. Ma quando poi si giunse al corpo a corpo e gli occhi non vedevano solo più fisici in movimento e spade e scudi branditi nell'aria ma cominciò a grondare sangue dalle ferite, due dei Romani, colpiti a morte, caddero uno sull'altro, contro i tre Albani soltanto feriti. A tale vista, un urlo di gioia si levò tra le fila albane, mentre le legioni romane, persa ormai ogni speranza, seguivano terrorizzate il loro ultimo campione circondato dai tre Curiazi. Questi, che per puro caso era rimasto indenne, non poteva da solo affrontarli tutti insieme, ma era pronto a dare battaglia contro uno per volta. Quindi, per separarne l'attacco, si mise a correre pensando che lo avrebbero inseguito ciascuno con la velocità che le ferite gli avrebbero permesso. Si era già allontanato un po' dal punto in cui aveva avuto luogo lo scontro, quando, voltandosi, vide che lo stavano inseguendo a distanze diverse l'uno dall'altro e che uno gli era quasi addosso. Si fermò aggredendolo con estrema violenza e, mentre i soldati albani urlavano ai Curiazi di correre in aiuto del fratello, Orazio aveva già ucciso l'avversario e si preparava al secondo duello. Allora, con un boato di voci - quello dei sostenitori per una vittoria insperata -, i Romani presero a incitare il loro campione che cercava di porre presto fine al combattimento. Prima che il terzo potesse sopraggiungere - e non era tanto lontano -, uccise il secondo. Ora lo scontro era numericamente alla pari, uno contro uno; ma lo squilibrio risultava nelle forze a disposizione e nelle speranze di vittoria. L'uno, illeso ed esaltato dal doppio successo, era pronto e fresco per un terzo scontro. L'altro, stremato dalle ferite e dalla corsa, si trascinava e, una volta davanti all'avversario eccitato dalle vittorie, era già un vinto, con negli occhi i fratelli appena caduti. Non fu un combattimento. Il Romano gridò esultando: “Ho già offerto due vittime ai mani dei miei fratelli: la terza la voglio offrire alla causa di questa guerra, che Roma possa regnare su Alba.” L'avversario riusciva a malapena a tenere in mano le armi. Orazio, con un colpo dall'alto verso il basso, gli infilò la spada nella gola e quindi ne spogliò il cadavere. I Romani lo accolsero con un'ovazione di gratitudine e la gioia era tanto più grande quanto più avevano sfiorato la disperazione. I due eserciti si accingono alla sepoltura dei rispettivi morti con sentimenti molto diversi, in quanto gli uni avevano adesso la supremazia, gli altri la sottomissione a un potere esterno. Le tombe esistono ancora, esattamente dove ciascuno è caduto: le due romane nello stesso punto, più vicino ad Alba, e le tre albane in direzione di Roma e con gli stessi intervalli che ci furono nello scontro.
I re di Roma e di Alba decidono, per evitare stragi e spargimenti di sangue, di affidare la soluzione della guerra tra le due città a un duello tra tre fratelli gemelli romani, gli Orazi, e tre fratelli gemelli albani, i Curiazi. Chi tra loro avesse vinto avrebbe guadagnato la vittoria per la propria città.
Nel capitolo 25 Livio racconta lo scontro tra i sei fratelli. Nel capitolo successivo l'unico superstite ritorna vittorioso in città ed è accolto dal popolo in festa. Gli viene incontro la sorella piangente perché tra i tre nemici uccisi dal fratello c'era il suo futuro marito. Senza pensarci due volte l'uomo sguaina la spada e la uccide. Non si deve piangere per il nemico e non essere felici per la vittoria della patria. Sottoposto a processo il valoroso soldato viene assolto, per la sfortunata donna viene innalzato un sepolcro di pietre là dove era stata uccisa dal fratello.
25 Concluso il trattato, i gemelli, come era stato convenuto, si armano di tutto punto. Da entrambe le parti i soldati incitavano i loro campioni. Gli ricordavano che gli dei nazionali, la patria e i genitori, e tutti i concittadini rimasti a casa e quelli lì presenti tra le fila avevano gli occhi puntati sulle loro armi e sulle loro braccia. E i fratelli, pronti allo scontro non già solo per il tipo di carattere che avevano ma esaltati dalle urla di chi li incitava, avanzano nello spazio in mezzo alle due schiere. Gli uomini di entrambi gli eserciti si erano intanto seduti di fronte ai rispettivi accampamenti, tesissimi non tanto per qualche pericolo imminente, quanto perché era in ballo la supremazia legata solo al valore e alla buona sorte di pochi di loro. Così, sul chi vive e col fiato sospeso, si concentrano sullo spettacolo non certo rilassante. Viene dato il segnale e i sei giovani, come battaglioni opposti nello scontro, si buttano allo sbaraglio con lo spirito di due eserciti interi. Né gli uni né gli altri si preoccupano del proprio pericolo, ma pensano esclusivamente alla supremazia o alla subordinazione del proprio paese e alle sorti future della patria che loro soli possono condizionare. Al primo contatto l'urto delle armi e il bagliore delle lame fecero gelare il sangue nelle vene agli spettatori i quali, visto che nessuna delle due parti aveva avuto la meglio, trattenevano muti il respiro. Ma quando poi si giunse al corpo a corpo e gli occhi non vedevano solo più fisici in movimento e spade e scudi branditi nell'aria ma cominciò a grondare sangue dalle ferite, due dei Romani, colpiti a morte, caddero uno sull'altro, contro i tre Albani soltanto feriti. A tale vista, un urlo di gioia si levò tra le fila albane, mentre le legioni romane, persa ormai ogni speranza, seguivano terrorizzate il loro ultimo campione circondato dai tre Curiazi. Questi, che per puro caso era rimasto indenne, non poteva da solo affrontarli tutti insieme, ma era pronto a dare battaglia contro uno per volta. Quindi, per separarne l'attacco, si mise a correre pensando che lo avrebbero inseguito ciascuno con la velocità che le ferite gli avrebbero permesso. Si era già allontanato un po' dal punto in cui aveva avuto luogo lo scontro, quando, voltandosi, vide che lo stavano inseguendo a distanze diverse l'uno dall'altro e che uno gli era quasi addosso. Si fermò aggredendolo con estrema violenza e, mentre i soldati albani urlavano ai Curiazi di correre in aiuto del fratello, Orazio aveva già ucciso l'avversario e si preparava al secondo duello. Allora, con un boato di voci - quello dei sostenitori per una vittoria insperata -, i Romani presero a incitare il loro campione che cercava di porre presto fine al combattimento. Prima che il terzo potesse sopraggiungere - e non era tanto lontano -, uccise il secondo. Ora lo scontro era numericamente alla pari, uno contro uno; ma lo squilibrio risultava nelle forze a disposizione e nelle speranze di vittoria. L'uno, illeso ed esaltato dal doppio successo, era pronto e fresco per un terzo scontro. L'altro, stremato dalle ferite e dalla corsa, si trascinava e, una volta davanti all'avversario eccitato dalle vittorie, era già un vinto, con negli occhi i fratelli appena caduti. Non fu un combattimento. Il Romano gridò esultando: “Ho già offerto due vittime ai mani dei miei fratelli: la terza la voglio offrire alla causa di questa guerra, che Roma possa regnare su Alba.” L'avversario riusciva a malapena a tenere in mano le armi. Orazio, con un colpo dall'alto verso il basso, gli infilò la spada nella gola e quindi ne spogliò il cadavere. I Romani lo accolsero con un'ovazione di gratitudine e la gioia era tanto più grande quanto più avevano sfiorato la disperazione. I due eserciti si accingono alla sepoltura dei rispettivi morti con sentimenti molto diversi, in quanto gli uni avevano adesso la supremazia, gli altri la sottomissione a un potere esterno. Le tombe esistono ancora, esattamente dove ciascuno è caduto: le due romane nello stesso punto, più vicino ad Alba, e le tre albane in direzione di Roma e con gli stessi intervalli che ci furono nello scontro.
26 Prima di allontanarsi, Mezio, in
base alle clausole del trattato, chiede quali siano gli ordini e
Tullo gli ingiunge di tenere i giovani sotto le armi perché avrebbe
avuto bisogno delle loro prestazioni in caso di guerra contro Veio.
Quindi gli eserciti vengono ricondotti negli accampamenti. Alla testa
dei Romani marciava Orazio col suo triplice bottino. Di fronte alla
porta Capena gli andò incontro sua sorella, ancora nubile, che era
stata promessa in sposa a uno dei Curiazi. Appena riconobbe sulle
spalle del fratello la mantella militare del fidanzato che lei stessa
aveva confezionato, si sciolse i capelli e in lacrime ripetè
sommessamente il nome del caduto. Il suo pianto, proprio nel momento
del tripudio pubblico per la vittoria, irrita l'animo del giovane
impetuoso che, estratta la spada, trafigge la ragazza rivolgendole
nel contempo queste parole di biasimo: “Vattene con la tua
bambinesca infatuazione, vattene dal tuo fidanzato, tu che riesci a
dimenticare i tuoi fratelli morti e quello vivo e addirittura la
patria. Possa così morire ogni romana che piangerà il nemico.”
L'atroce delitto sembrò orribile ai senatori e alla plebe, ma a ciò
si contrapponeva la prodezza di poche ore prima. Fu comunque preso e
portato di fronte al re per essere processato. Questi, non volendosi
assumere l'intera responsabilità di una sentenza così penosa e
impopolare nonché della condanna a morte che ne sarebbe seguita,
convocò l'assemblea del popolo (...) Il dibattito si tenne così di
fronte al popolo e la gente fu particolarmente influenzata dalla
testimonianza del padre di Orazio il quale sostenne che la morte
della figlia era stata giusta e aggiunse che in caso contrario egli
avrebbe fatto ricorso alla sua autorità di padre e punito il figlio
Orazio con le sue stesse mani. Poi implorò il popolo di non privare
dell'ultimo figlio un uomo che fino a poco tempo prima la gente aveva
visto circondato da una notevole prole. Dicendo questo, il vecchio
andò ad abbracciare il giovane e, indicando le spoglie dei Curiazi
appese nel punto che ancor oggi si chiama Trofeo di Orazio. (...) Il
popolo, incapace di resistere alle lacrime del padre e alla fermezza
incrollabile del figlio di fronte a ogni pericolo, assolse Orazio più
per l'ammirazione suscitata dalla sua prodezza che per la bontà
della sua causa. (…) Quanto all'Orazia, le fu innalzato un sepolcro
di pietre squadrate nel punto in cui era caduta sotto i colpi del
fratello.
Leggi, studia il brano e rispondi alle domande sul quaderno, prepara il compito per la tua interrogazione.
Come molti dei racconti della storia antica di Roma, il racconto leggendario vuole dare un importante insegnamento ai Romani che lo sentono raccontare. Qual è questo insegnamento a tuo parere? Noi come dobbiamo comprendere l'antico racconto dei fratelli Orazi e Curiazi?
Leggi, studia il brano e rispondi alle domande sul quaderno, prepara il compito per la tua interrogazione.
Come molti dei racconti della storia antica di Roma, il racconto leggendario vuole dare un importante insegnamento ai Romani che lo sentono raccontare. Qual è questo insegnamento a tuo parere? Noi come dobbiamo comprendere l'antico racconto dei fratelli Orazi e Curiazi?
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